Epatite C, equivalenza antivirali: no delle società scientifiche
Salutati come una delle grandi scoperte della medicina moderna, i farmaci antivirali ad azione diretta hanno conquistato titoli di cronaca, negli ultimi anni, per la loro imbattibile capacità di eradicare la piaga del virus dell'epatite C rapidamente, senza effetti collaterali, producendo un risanamento paragonabile, per così dire, a una immunizzazione di massa.
Ma in una fase storica ipnotizzata dalle notizie sul coronavirus, l'epidemia targata SarsCoV2, proprio la campagna di eliminazione dell'infezione cronica da virus HCV dovrebbe insegnare qualcosa: ha promosso comportamenti responsabili, screening, consapevolezza dei rischi nella popolazione, si è rivelata capace di ovviare all'assenza di un vaccino, ha ripulito il sangue di migliaia di malati in Italia, facendo risparmiare milioni di euro di spese sanitarie per complicanze (cirrosi, insufficienza d'organo, patologie invalidanti che mettono in moto ricoveri, accessi al pronto soccorso, perdita di capacità lavorativa), e paradossalmente ora questa rivoluzione rischia di incagliarsi a metà del guado, in vista del traguardo.
Si fanno avanti, nelle regioni, gare di acquisto che mettono sullo stesso piano farmaci contenenti molecole differenti tra loro (forzando il concetto di equivalenza terapeutica) introducendo, secondo gli specialisti, accorpamenti e modalità improprie di assimilazione. Questo emerge dal documento «Equivalenza terapeutica dei farmaci anti-HCV», presentato a Roma, a Palazzo Madama, su iniziativa del Senatore Marco Siclari, membro della Commissione permanente Igiene e Sanità.
"Stabilire l'equivalenza tra farmaci richiede confronti di estrema complessità, da valutare in un contesto di vita reale", ha sottolineato Giorgio Racagni, Presidente della Società Italiana di Farmacologia. L'obiettivo è analizzare l'applicabilità dei criteri stabiliti da AIFA nel caso delle terapie anti-HCV. L'Italia ha un ruolo chiave nell'attuazione del piano di eliminazione dell'infezione da HCV promosso dall'Oms, Organizzazione Mondiale della Sanità.
L'innovazione garantita dai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) è stata condizionata dal costo dei singoli trattamenti, nonostante numerosi studi abbiano certificato che si ripagano ampiamente, tanto che il prezzo rispecchia il valore. Le terapie anti-HCV rappresentano il primo banco di prova in applicazione della richiesta da parte delle Regioni di ottenere una patente di equivalenza terapeutica, dato su cui la Commissione Tecnico Scientifica dell'AIFA si è espressa con il parere positivo alla Determinazione 818/2018 pubblicato lo scorso 16 dicembre. Una presa di posizione che aveva già suscitato la disapprovazione da parte delle Società scientifiche AISF (per lo studio del fegato) e SIMIT (malattie infettive e tropicali) e dell'Associazione pazienti EpaC onlus, aprendo un ampio dibattito sul tema.
Nel documento di posizione elaborato da farmacologi ed economisti si afferma che "L'equivalenza terapeutica viene proposta come uno strumento per razionalizzare l'impiego di farmaci di elevato valore, assumendo pari efficacia terapeutica. Ma la scelta della terapia va adeguata sulla tipizzazione del paziente, da valutare in un contesto di vita reale". La pluralità dell'offerta rappresenta un diritto del malato e un vantaggio per lo specialista. Basti considerare che finora è stato possibile disporre di più farmaci da scegliere, in accordo con le Linee Guida Internazionali (Raccomandazioni dell'EASL - European Association for the Study of the Liver).
Nel documento si fa presente che per decretare l’equivalenza dei farmaci devono essere soddisfatti requisiti clinici nonché farmacologici, tenendo a mente il meccanismo d’azione della classe terapeutica e il risultato derivante dall'impiego combinato dei trattamenti.
"L'eradicazione dell'Epatite C è stato uno degli obiettivi focali del mio mandato da Ministro della Salute", ha sottolineato Beatrice Lorenzin, Commissione Bilancio, Tesoro, Programmazione, intervenuta al termine dell'incontro. "Il fondo ad hoc, istituito con la Legge di bilancio del 2017, dotato di 500 milioni di euro per i farmaci innovativi, è servito per garantire un rapido accesso a molecole dai grandi costi sociali: circa 200 mila pazienti sono guariti dall'HCV e altrettanti aspettano di essere curati. Si tratta di una malattia che rientra tra quelle da eliminare entro il 2030"