La sfida dell’età avanzata: quando vivere più a lungo significa affrontare nuove battaglie
Viviamo in un’epoca in cui il progresso scientifico, i miglioramenti socio-economici e le innovazioni tecnologiche ci hanno regalato un risultato straordinario: l’aumento dell’aspettativa di vita. Tuttavia, questo traguardo, pur rappresentando una vittoria della modernità, porta con sé sfide inaspettate e complesse, che richiedono un ripensamento profondo della nostra visione della vecchiaia e delle cure necessarie per affrontarla. L’età avanzata, infatti, si rivela una fase della vita ricca di opportunità e di battaglie da combattere con intelligenza e sensibilità.
La longevità: un traguardo e una sfida
L’incremento dell’aspettativa di vita è senza dubbio uno dei più grandi successi della medicina e delle condizioni di vita moderne. Dai 6,7 milioni di persone con più di 80 anni nel 1995, si è passati a oltre 12,5 milioni nel 2010, con previsioni che indicano una crescita esponenziale fino a raggiungere i 51 milioni nel 2050. In Italia, questa tendenza si traduce in un invecchiamento della popolazione che rappresenta un fenomeno strutturale: un Paese sempre più “grande anziano”, con le sue peculiarità e le sue criticità.
Tra queste, la più evidente riguarda la salute. Se da un lato viviamo più a lungo, dall’altro la fragilità e la suscettibilità alle malattie tumorali, quindi l'incidenza del cancro, aumentano di pari passo. La vecchiaia si accompagna a una maggiore vulnerabilità alle malattie, con un incremento esponenziale delle diagnosi di neoplasie in età avanzata. Secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e di AIRC, nel 2024 si stimano circa 400.000 nuovi casi di tumore in Italia, con un’incidenza che cresce con l’età: si parla di 750 casi ogni 100.000 abitanti tra i 55 e i 59 anni, e di ben 2200 casi ogni 100.000 tra gli ottantenni e oltre. Un dato che sottolinea come il rischio di sviluppare un tumore si triplichi con l’età, e che rende urgente una riflessione più profonda sulle strategie di prevenzione, diagnosi precoce e trattamento.
Anziani esclusi dalla ricerca clinica
Nonostante questi numeri impattanti, gli anziani rappresentano ancora una delle categorie meno coinvolte nelle sperimentazioni cliniche. È uno dei paradossi più drammatici della medicina moderna: i trial clinici, che sono alla base di ogni innovazione terapeutica, vedono un’evidente sotto-rappresentanza di questa fascia di popolazione. Nei trial registrati dalla Food and Drug Administration (FDA), ad esempio, solo il 24% dei partecipanti ha più di 70 anni, e nei trial del National Cancer Institute (NCI) questa percentuale scende sotto il 10%. In Italia, i dati di AIFA mostrano come i pazienti anziani, rispetto a quelli più giovani, abbiano un accesso ai trattamenti oncologici superiore di circa 5 anni, ma siano ancora scarsamente coinvolti nelle sperimentazioni.
Questa carenza di dati specifici ha ripercussioni molto concrete sulla qualità delle cure. I medici sono spesso costretti a basarsi su protocolli standardizzati che non tengono conto della complessità e delle peculiarità dell’età avanzata, come la presenza di comorbidità, la fragilità e le variabili sociali. Il rischio è di somministrare trattamenti troppo aggressivi o inappropriati, con effetti collaterali più gravi e una qualità della vita compromessa. Come evidenzia il Professor Lorenzo Palleschi, presidente della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (SIGOT) e Direttore della Geriatria dell’Ospedale San Giovanni-Addolorata di Roma: “L’assenza di dati specifici limita la validità delle evidenze scientifiche. È fondamentale coinvolgere maggiormente gli anziani nelle sperimentazioni cliniche, affinché le terapie siano più personalizzate e adatte alle loro esigenze”.
Cure personalizzate e inclusione
Il futuro della terapia per gli anziani passa inevitabilmente attraverso un approccio personalizzato, che tenga conto delle caratteristiche individuali del paziente. La medicina personalizzata, ormai riconosciuta come un pilastro della moderna oncologia, deve essere estesa anche alla geriatria. Le linee guida delle società oncologiche suggeriscono di adottare strumenti come la Valutazione Geriatrica Multidimensionale, che permette di analizzare non solo il tumore, ma anche lo stato funzionale, cognitivo, sociale e psicologico del paziente.
“Ridurre gli effetti tossici della terapia, migliorare l’aderenza, preservare la qualità della vita e ottimizzare la sopravvivenza sono gli obiettivi principali di questa strategia,” spiega Palleschi. “Occorre un intervento multidisciplinare che coinvolga geriatri, oncologi, cardiologi, nutrizionisti e assistenti sociali, per creare percorsi di cura realmente inclusivi, che rispettino la fragilità senza rinunciare alla speranza di una vita più lunga e dignitosa”.
La prevenzione e l’invecchiamento attivo
Se è vero che l’età è un dato di fatto, è altrettanto vero che possiamo intervenire sui fattori che influenzano la qualità e la durata della vita. L’invecchiamento attivo – concetto sviluppato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – diventa così il punto focale di una strategia che mira a rallentare la fragilità, prevenire le malattie e promuovere il benessere psicofisico. Il congresso SIGOT ha dedicato grande attenzione a questa tematica, sottolineando come uno stile di vita sano possa fare la differenza. Tra le pratiche più efficaci troviamo:
- Esercizio fisico regolare: migliora mobilità, forza muscolare e salute cardiovascolare, riducendo il rischio di cadute e disabilità.
- Alimentazione equilibrata: ricca di antiossidanti e nutrienti essenziali, aiuta a mantenere peso, funzionalità cognitiva e sistema immunitario.
- Stimolazione cognitiva: attività mentali e sociali che proteggono memoria e capacità cognitive.
- Controllo dei fattori di rischio: gestione di ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari e altre condizioni croniche.
- Contrasto alla solitudine: promuovere reti sociali e attività di supporto che migliorano l’umore e il senso di appartenenza.
“Questi interventi non solo migliorano la qualità della vita, ma possono anche contribuire a ridurre il rischio di sviluppare tumori e rallentare la loro progressione,” commenta Andrea Fabbo, Direttore Sanitario ASL Asti. Il 39° Congresso Nazionale della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio ospita oltre 500 specialisti da tutta Italia, tra cui un’ampia rappresentanza di giovani medici (il 40% degli iscritti ha meno di 40 anni), segno di un settore che si sta rinnovando e rafforzando. Tra i temi principali trattati, spiccano:
La prevenzione e l’invecchiamento attivo
La gestione della fragilità cognitiva e delle demenze
L’onco-geriatria e l’accesso alle terapie avanzate
Le patologie cardiovascolari e la loro prevenzione
La sarcopenia e il declino muscolare
L’insufficienza respiratoria e le sue complicanze
L’organizzazione dell’assistenza agli anziani in Pronto Soccorso
Il congresso ha anche sottolineato come la medicina geriatrica debba evolversi, integrando ricerca, prevenzione e supporto sociale, per offrire agli anziani una vita lunga e di qualità. La sfida non è più solo quella di prolungare l’aspettativa di vita, ma di assicurare che questa sia vissuta attivamente, senza dolore, senza disabilità e con il massimo rispetto della dignità umana.
Un impegno condiviso
In un mondo che invecchia in modo rapido e inesorabile, la vera sfida consiste nel modificare le nostre abitudini, le politiche sanitarie e le strategie di cura, affinché l’età avanzata diventi un capitolo di continuità e benessere, non di declino e sofferenza. La ricerca deve essere più inclusiva, le cure più personalizzate e le politiche sociali più attente ai bisogni di questa grande comunità di persone che desiderano vivere con dignità, in autonomia, il più a lungo possibile.
