La medicina in carcere: droga, violenza e malattie infettive
Le carceri italiane sono afflitte da problemi cronici che si sono intensificati dopo l'uscia dalla pandemia da Covid-19. Sovraffollamento, strutture fatiscenti e difficoltà per il personale sanitario (medici, infermieri e psicologi) sono solo alcune delle criticità che si devono affrontare. Inoltre, si verificano anche gli stessi problemi di sempre, come tentati suicidi, dipendenza da droghe e violenza dietro le sbarre. Di fronte a queste emergenze, la Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe) ha proposto un nuovo modello organizzativo.
Psicosi e dipendenze
Secondo dati recenti, un numero significativo di detenuti nelle carceri italiane assume sedativi, ipnotici o stabilizzanti dell'umore. Si segnala pure una crescente dipendenza da sostanze stupefacenti, si stima che oltre il 60% dei detenuti faccia uso di droghe.
Unità operative
Il presidente SIMSPe, Antonio Maria Pagano, sottolinea che una delle principali difficoltà nella gestione del diritto alla salute nelle carceri italiane è l'operatività frammentata, per questo la società scientifica propone l'istituzione di unità operative aziendali di sanità penitenziaria, dotate di autonomia organizzativa e gestionale, secondo il criterio dell'accreditamento. Inoltre, accoglie con favore l'idea di una cabina di regia interministeriale composta da esperti indicati dal Ministero della Salute e dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria. .
Affinché la sanità penitenziaria sia efficiente, le unità operative devono essere multifunzionali, e per questo riunire tutte le figure professionali che si occupano dell'assistenza alle persone private della libertà, dai minori agli adulti, dalle dipendenze alla salute mentale, dall'infettivologia alla medicina legale, dall'odontoiatria all'igiene pubblica.
Rischio contagi
Quanto all'aspetto della prevenzione e diagnosi in ambito infettivologico, il Prof. Sergio Babudieri, direttore scientifico SIMSPe, cita come paradigmatico il progetto ROSE, che ha ottenuto risultati significativi nel contrasto alle infezioni da HIV e da Epatite C nelle donne detenute. I dati mostrano che la prevalenza di HIV nelle carceri italiane è passata dal 20% vent'anni fa all'1% attuale, grazie agli screening e ai trattamenti appropriati. Tuttavia, si è riscontrato un aumento delle infezioni da HIV tra la popolazione migrante che arriva in Italia a causa delle cattive condizioni igienico-sanitarie a cui sono costretti. Pertanto, è importante ottimizzare il periodo di detenzione per favorire gli screening e i trattamenti delle persone che hanno difficoltà ad accedere ai servizi di cura e assistenza.
Roberto Parrella, Vicepresidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), sottolinea che il contesto penitenziario rappresenta un'opportunità per effettuare screening diffusi per HIV, Epatite C e tubercolosi. Il momento della detenzione può essere cruciale per avviare immediatamente i trattamenti necessari. I nuovi farmaci antivirali consentono di eliminare definitivamente l'Hepatitis C in poche settimane e senza effetti collaterali. Per quanto riguarda l'HIV, i nuovi trattamenti permettono di cronicizzare l'infezione e di renderla non più rilevabile nel sangue e non trasmissibile. Pertanto, è auspicabile che si intensifichino le attività di screening presso le carceri.
In estrema sintesi, la proposta di un nuovo modello organizzativo presentata da SIMSPe cerca di affrontare i problemi cronici delle carceri italiane, aggravati dopo la fine della pandemia di Covid-19. La creazione di Unità Operative multifunzionali, la presenza di personale sanitario qualificato, gli screening e i trattamenti per le malattie infettive sono alcune delle soluzioni proposte per garantire una sanità penitenziaria efficiente e migliorare le condizioni di salute dei detenuti.