Notizie di poesia

Giovani per davvero: Marco Corsi

VEDI L'IMMAGINE Marco Corsi premiato a Castelfiorentino 

Firenze, 12 giugno 2012 - Il Premio Letterario Castelfiorentino – che ha visto sabato scorso l’affermazione della poetessa veneto-milanese Patrizia Valduga – non attribuisce soltanto «premi speciali» alla carriera a personalità di spicco del mondo letterario nazionale. Prevede anche, e in senso tutt'altro che secondario, anzi assolutamente paritario, una sezione dedicata all’inedito: inedito su tema toscano, in versi e in prosa, e sezione all’interno della quale il Premio svolge da ormai quattordici anni, edizione dopo edizione, un capillare lavoro di auscultazione, individuazione e valorizzazione di poeti e narratori giovani.

Autori desiderosi di far conoscere le loro scritture, di trasmettere agli altri i loro messaggi nati da un'esigenza di espressione e di relazionalità sociale; autori talvolta solo ed integralmente «aspiranti», mai pubblicamente rivelatisi come tali e del tutto inediti, oppure con qualche concorso alle spalle già provato e magari vinto, o ancora con una o più pubblicazioni già effettuate, già parte di un loro incipiente curriculum di scrittori usciti allo scoperto.

Quest’anno il primo premio per l’inedito del «Castelfiorentino» è andato ad un bravissimo giovane scrittore della provincia di Reggio Emilia (di Roteglia), Sandro Campani, già autore del romanzo E' dolcissimo non appartenerti più e dei racconti di  Nel paese del Magnano (rispettivamente Playground 2005 e Italic-Pequod 2010), grazie ad una nitida, tutt’altro che appariscente ma molto intensa narrazione dal titolo La gamba della Chiara. Ancora con un bel racconto, La Luna (un racconto questa volta a sfondo storico, dedicato alla figura del pittore macchiaiolo Giuseppe Abbati), si è piazzata al terzo posto l’empolese Azzurra Mangani. E anche lei ha già dato alle stampe un suo libro, pubblicato da Ibiskos Risolo, Per Elisa (2008).

Ma l’argento è spettato, meritatamente, ad un poeta: di nuovo, come gli altri saliti con lui sul podio, un giovane, un giovane aretino (precisamente di Persignano, una frazione di Terranuova Bracciolini), Marco Corsi, che al suo attivo ha già vari titoli bibliografici: versi pubblicati in rivista, una raccolta in volume e un saggio sulla poesia di Bianca Maria Frabotta. Può già vantare perfino, il Corsi, un fine e penetrante intervento critico su di lui, firmato da Manuel Cohen, apparso su una interessante, militante rivista del settore come «Atelier».

Con i suoi versi – la suite intitolata la via del ferroviere, con la elle di la filologicamente restituita minuscola come al poeta piace – diamo oggi inizio a una serie di «giovani per davvero»: giovani poeti da promuovere e far conoscere attraverso queste Notizie. E come minimale supporto critico alla prima proposta di testi, alleghiamo la motivazione con la quale la giuria del «Castelfiorentino» ha accolto Corsi tra i premiati:«Calibrata e suggestiva narrazione in versi, il poemetto la via del ferroviere trova la misura di un duttile endecasillabo che musica la partitura di una storia ritracciata in lingua di poesia. La lingua troppo facile e troppo difficile della poesia modula, infatti, i  frammenti di un’esistenza scandita per improvvisi montaggi dove le cose, gli oggetti, appaiono come silenziosi e misteriosi emblemi. La delicata trama di una realtà rivissuta è come percorsa da un tremore e timore della memoria che inventa, cuce e scuce le immagini di una vita trasposta in cantare da leggenda. Libretto e musica risultano così perfettamente fusi».

Qualche altra notizia bio-bibliografica, infine, su di lui. Classe 1985, Marco Corsi è dottorando in Italianistica all'Università di Firenze. Sue poesie sono apparse in «Poeti e poesia», «L’area di Broca», «Semicerchio» e «La casa dei doganieri» e in L’inverno del geco (Gazebo 2011). Da studioso di poesia ha pubblicato inoltre, già lo accennavamo, la monografia Biancamaria Frabotta. I nodi violati del verso (Archetipo Libri 2010).

Marco Marchi

la via del ferroviere

dai tempi sempiterni della chiusa
qualcuno si avvicina al depistaggio
cullando nella notte un lumicino:
era qui (senza misura, nell’anfratto)
che dormiva la nera littorina.
e persino si può tanto: fermarsi
camminare tra le lucciole e le porte
e violare la casa al ferroviere.

***

(quando bambino voleva giocare ovvero delle voci)

è stato (ormai) un peccato d’adempienza
chiudere un occhio mentre l’altro appena
chiedeva di affacciarsi al finestrino
di modellare gli sbalzi degli sbuffi
scansare fermamente il terrapieno
allungare una mano sui sedili
e saggiare la sostanza del suo legno:
assecondavi il treno come un mare
muovendo tra le onde la campagna
e quella cagna che sempre recitava
la scena di una figlia senza eguale.
c’era la guerra sul collo dell’amiata
o nella testa di abbadia san salvatore,
ai piedi senza scarpe discendevi
e la tua scorta lentamente cigolava.

*

eppure qualche cosa ci esitava
ci rendeva più duri del carbone
più rossi del rosso del cinabro:
era la gola secca, era la vecchia
rincorsa sulle forre. tutto è fermo –
il campanile serrato nelle volte
la chiesa con la faccia disegnata
il riccio e la castagna decurtata:
«mamma quando vieni per la tosse?»
e fischiava, oddio come fischiava, roco
con quelle mani bianche di giacinto.
ma poi ti prese su la provvigione,
la provvidenza sazia del tuo prete:
partisti con il rischio dei cipressi
che vaghi ci allungano la morte.

*

la radice della pianta ha un nome antico
come quello delle donne sulle porte
con cui passa la notte il ferroviere.

*

i passi (anche i tuoi) sono le rotte
di un breve lievitare sul cammino:
«sai, c’erano qui due grosse botti
per l’acqua, per il pane, per il vino
e dio ci sorpassava in comunione –
ci doppiava col suo alito salino».
ed erano bocche nere, magre bocche,
calzari sempre uguali da pitocco:
«ecco, lo sai, la terra trema
sfiora l’eco nei lobi degli indiani».
ed era duro un palmo nella crosta
quando l’altro ti battevi sulla bocca
recitando la disfatta del fortino.

***

(l’invidia dei pochi ovvero la riserva)

è la storia questa di un bambino
che sognava un treno da sognare
un babbo dall’aspetto militare
le rogge di una moglie sempre aperta
e la deserta magione dietro l’asso.

*

rotola ancora, si arrotonda infine la svolta
del fiume, la corrente vetrosa del torrente
si specchia di travi e di cimase:
«i tuoi capelli sono un piccolo tetto,
questo è il mio fischietto, soffia, guarda,
attenta, chiudi bene il portellone,
allaccia sulla nuca il fazzoletto.
ciao mamma ti saluto spesso
(tra gli avanzi di patate e polpettone)
ti saluto fortemente con la mano
sulla strada tortuosa, verso asciano»

*

ora batte a colpi lenti, mi riprende
la giacca, la camicia, il temporale:
«oggi pioveva e la blusa zuppa
l’ho lasciata in un canto al focolare.
dentro, la missiva che aspettavo
ossa rotte di pernice, una cornice d’oro
e tracce di finissimo catrame …
ho passato l’esame a ferroviere
sono l’unico capo di stazione,
qualcheduno mi crede macchinista,
ma la berretta mi comporta distinzione»

*

carrozze di duroni, spigoli e calli
di frumenti spigolati alla motrice
dai convogli sparpagliati sulle crete:
in una scena da far west, lo sparo
il frullo disperato del fagiano
i cani e la vagina al cacciatore.
dietro l’anta dell’armadio il cassettone
sullo specchio il nonno  che sorride
mentre piazzano le bombe dei settanta.

*

«col tempo sai è cresciuta, è fatta grande
la città ahimè pasciuta, è fatta grande:
una citta con le trecce da birbante
è l’unico ed immobile passante»

*

«la riduzione del moto pendolare
ci costringe a chiudere la tratta»:
e ora dove vai vecchio brigante?
con la valvola briga del tuo cuore
la marsina in pectore, il puttino biondo
la tua croce che dimora sulla mensa?

(monte antico – asciano, 27 settembre 1994)

 

(il finale ovvero costruire una vita per frammenti)

sulla scala pende ancora la tua fossa
la ressa dei piccioni sulle travi
la valigia riversa sopra il letto.
partivi anche tu come la mamma
tenendo la destra, sul sentiero
col grande polverone di vettura.
interrotto appena – un clic – l’interruttore
dimoravi lì la cantinetta, il paralume
e tra la polvere pendula esitavi
i resti avanzati della cena, senza vena
sentenza o sola delibata soluzione:
pensavi appena più oltre siena, l’ospedale
il dottore dalle lunghe mani e ultimo
il prelato, l’olio santo, la catena
e l’incessante mutevole ossessione
di una vita destinata a sparizione.

***

ogni tocco sa quello che vuole
in questa mano di vernice impressionista:
masochista è la scelta del mondo –
del secondo più lento da narrare.

Marco Corsi

 

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