L’unica ragione. Ricordo di Alessandro Parronchi
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Firenze, 6 gennaio 2013 – Articolo pubblicato su "La Nazione" di oggi.
Modernità di Parronchi, poeta e storico dell'arte, a sei anni dalla morte
Firenze, 6 gennaio 2013 – Di sicuro nel corso del 2013 si parlerà del poeta, critico letterario e storico dell’arte Alessandro Parronchi. Lo si farà in occasione di una mostra della sua splendida collezione di quadri acquisita dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, in calendario per l’estate. E tornerà allora all’attenzione, in parallelo, anche il fondo a suo nome istituito presso la Biblioteca della Facoltà di Lettere dell’Università di Siena, dove sono confluiti i suoi libri e le sue carte.
Ma sono oggi sei anni esatti dalla morte di Parronchi, fiorentino, classe 1914 come Luzi e come Bigongiari, l’autore dei Giorni sensibili, Pietà dell’atmosfera e Replay. Grazie alla scrittura, Parronchi è ancora qui, con il suo lavoro protratto nel corso della sua lunga esistenza: dagli anni duri ed esaltanti della giovinezza e della formazione ermetica a quelli della guerra e del dopoguerra, a quelli difficili della contemporaneità.
In una lettera indirizzata a uno dei suoi colleghi di spicco, Vittorio Sereni, Parronchi, alludendo a un titolo come Occhi sul presente, scriveva: «Non mi stancherò tanto presto di guardare – scrive Parronchi –, almeno fino a quando le ‘questioni di lavoro’ mi parranno, come lo sono ormai da tempo per me, l’unica ragione per vivere».
Ragioni comuni, e un tutt’uno esistenziale, oggi pressoché irrintracciabile, teso a far coincidere letteratura e vita. Un impegno esclusivo ed inclusivo, cui si accompagnava, nel mutare delle epoche e dei contesti, un quadro solidale di relazioni e amicizie: dai citati poeti Luzi e Bigongiari, a scrittori come Loria e Pratolini, a un pittore di valore, da Parronchi amatissimo, come il viareggino Mario Marcucci.
Marco Marchi
P.S., per presentare la poesia che completa il post.
Strane creature, i poeti, quelli veri come Parronchi e Sereni sono stati: appartati, separati, assenti e invece, nel corso di tutta la loro esistenza, vivi ed operanti in una stanza. Una «stanza» (una sorta di studio del pittore alla Klee) poeticamente ambigua anche attraverso suggestioni formali, da cancelleria lirica (la «stanza» in accezione metrica, come una strofa, come un'ottava), o tramite memorie, come mettiamo – del tutto intonata alla sensibilità di un acuto lettore di Leopardi come Alessandro Parronchi – la celeberrima A Silvia, «Sonavan le quiete / stanze, e le vie dintorno»; una stanza in cui il dialogo, però, dura e si allarga, visibilizzando le risultanze di quel mobile intrattenersi, di quell’intrecciato e confidente colloquiare a distanza, di quell’essere insieme oltre le apparenze ed i fisici incontri.
L’idea di una stanza-specola del mondo è autorizzata del resto da Parronchi stesso, in una poesia nella quale quel luogo è, biograficamente, il domestico studio milanese di Sereni visitato un giorno d’ottobre del 1948, ma potrebbe benissimo essere anche, del tutto intercambiabile, la sua stanza fiorentina in cui per una vita ha lavorato, affidando a parole l’esistere in tutte le sue gamme: dal «coraggio» alla «paura», dalla «tristezza» alla «gioia».
Ed è quasi d’obbligo citare adesso da Occhi sul presente – in Le poesie, a cura di Enrico Ghidetti, Edizioni Polistampa – questi versi, tra i più belli che un poeta abbia mai dedicato ad un poeta.
A Vittorio
Ho rispettato la quiete
del tuo studio. Erano là
a fissarmi i tuoi occhi.
Li vedevo assorti nel lavoro
ardere dietro un apparente
velo di tristezza… Dietro, era la gioia.
E i miei si chiusero. Non una
di queste cose mi seguì, nel breve
viaggio che feci verso le ombre,
non una, ma, ricordo, strane immagini
d’abbandono, e pensieri
importuni che venivano a riprendermi.
Dopo filtrò più luce,
ed era ancora Milano, la tua stanza,
l’Italia che mai più grande e leggera
è di quando risale
a Lecco per le valli, e io mi dicevo:
si slargherà il suo cielo
su noi e sempre più lievi ombre saremo
al suo perpetuo schiarire.
Alessandro Parronchi
(da Occhi sul presente, in Le poesie, Edizioni Polistampa)
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