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Dintorni della poesia. Tozzi e Dostoevskij, scrittori del ‘sottosuolo’

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Firenze, 8 aprile 2013 – Che Federigo Tozzi avesse letto e ammirato Dostoevskij è testimoniato dallo scrittore senese stesso, quando in una breve ma memorabile prosa di Persone propone come unica alternativa alle “grandiosità della Bibbia” l’opera del narratore russo: “Perché leggere, nel nostro tempo, è specialmente esistere. Ed esistere con tutta la nostra anima e con qualche fede”.

Sulla base di questo implicante assunto, una studiosa di Pistoia, Elena Gori, ha dedicato al rapporto fra i due narratori un libro: si intitola Tozzi e Dostoevskij. La fuggitiva realtà e lo ha pubblicato l’editore fiorentino Franco Cesati. Dopo essere stato presentato nel gennaio scorso a Siena, a Palazzo Patrizi, per iniziativa dell'Accademia degli Intronati, il libro sarà presentato domani 9 aprile alle ore 17,30 al Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux di Firenze, in Palazzo Strozzi, con la partecipazione di Roberto Barzanti, Silvia Tozzi e il sottoscritto. Sarà presente, naturalmente, anche Elena Gori .

Già autrice di saggi su Manzoni, Tarchetti e Poe, la Gori ha articolato con sicurezza la sua indagine in tre fasi: la ricostruzione del dibattito critico svoltosi attorno al binomio Tozzi-Dostoevskij dai tempi di Tre croci a oggi; un’importante ricerca d’archivio che restituisce in tutta la sua imprevista ampiezza l’intero scaffale di letteratura russa nella biblioteca dello scrittore senese; un vasto e serrato confronto fra testi, tale da consentire una persuasiva individuazione di temi e modi espressivi condivisi.

La soverchiante figura paterna, il senso di colpa, la condizione di escluso e di “umiliato e offeso” si configurano così come le tappe di un percorso letterario parallelo e spesso convergente: un percorso che modernamente si dipana, per Tozzi come per Dostoevskij, dal misterioso “sottosuolo” dell’animo umano.

Marco Marchi

Da Con gli occhi chiusi (lettura del brano, nel video, da 10:09)

Domenico non manifestò subito l'impazienza che aveva di veder Pietro occuparsi degli affari. Ma come le conversazioni doventavano di quell'affabilità affettata, che cela in sé gli scoppi della collera, così anche evitarono di parlarsi. Tutti tenevano dalla parte del Rosi, e si aspettavano una leticata. Pietro lo capì, fingendo di non accorgersi di quello che pensasse suo padre quando lo guardava quasi di sfuggita.
Domenico talvolta si stimava un uomo semplice e rozzo dinanzi a un raffinato ed un cattivo. E allora temeva d'averne la peggio.
Che cosa erano valsi i lunghi sforzi, di cui aveva riempito tutta la vita? Morendo, non avrebbe consegnato al figliolo ciò che aveva potuto strappare con il lavoro e l'astuzia? E proprio il figliolo non l'apprezzava? Proprio il figliolo voleva mandare in rovina il patrimonio?
Allora si accorse dell'errore che aveva fatto, accordandogli troppo anche a riguardo di Ghìsola. Egli stesso l'aveva accolta in casa! Ed ora, la disonesta, glielo metteva contro, insegnandogli ad odiarlo!
Gli parve un tradimento cercato: il seminario, l'accademia di belle arti, la scuola tecnica, l'istituto tecnico, i maestri privati, tutto!
Questi pensieri li aveva avuti tante volte, che stimava essere il momento di non lasciarsi sopraffare.
Seduto su la sedia che gli serviva da più di venti anni, lo seguiva con lo sguardo, tenendo le mani in tasca dei calzoni e appoggiando al muro il capo già calvo. Ma non diceva niente, procurando di distrarsi con i servi e con qualche cliente che andava a salutarlo.
Pietro pensava a tutte le cose famigliari che avrebbe voluto possedere per sé e per Ghìsola.
Pensava al lume cosÏ quieto e sempre eguale, con la campana di latta. Pensava alla poltrona della mamma, sotto il cui guanciale era una specie di cassetto di legno, dov'ella aveva tenuto i gomitoli delle lane e i suoi due soli libri, due romanzi a dispense illustrate. Pensava ai quattro guanciali a cui ella s'appoggiava; i quali si erano deformati ciascuno in modo riconoscibile. Pensava all'odore dell'acqua di Colonia, alle boccette antisteriche, ad una crocettina d'oro consunto.
Prima d'addormentarsi nel suo letto duro, ricordava tutte le cose più note; alle quali portava un'affezione intensa per quanto incosciente. Gli pareva di dover dare un'altra impronta e un altro significato a tali cose. Ghìsola sarebbe stata la rinnovatrice. Ed egli provava la stessa dolcezza che aveva provato stando insieme con lei.
Spenta la candela, si voltava dalla parte del muro e dormiva.
Domenico, verso la mezzanotte, attraversava la camera, con in mano la lucerna d'ottone. E allora Piero si destava e gli veniva voglia d'alzare il capo. Ma l'altra porta si richiudeva; ed egli rimaneva con quello scontento di quando è interrotta una disposizione d'animo.

Federigo Tozzi

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