Notizie di poesia

Firenze. Età Libera al via (anche con Pasolini)

VEDI I VIDEO “Il canto popolare” di Pier Paolo Pasolini letto dal poeta , Scene da "Accattone"

Pier Paolo Pasolini

Firenze, 15 ottobre 2013 – Articolo apparso su "La Nazione" di oggi.

Età Libera per spiriti liberi

Si inaugura ufficialmente questo pomeriggio con una prolusione in Palazzo Vecchio di Filippo Mannucci, direttore dell’osservatorio di astrofisica di Arcetri, l’anno accademico dell’Università dell’Età Libera di Firenze. Un appuntamento all’insegna della cultura che ogni anno si ripete, quello dei corsi per gli adulti; un appuntamento di rilievo che vede sinergicamente operanti il Comune e l’Ateneo nell’organizzazione di un’ampia proposta formativa a carattere multidisciplinare rivolta a quanti intendano accrescere il loro sapere nelle sue varie accezioni e discipline.

Una gamma di insegnamenti e di laboratori, in particolare, che coprono aree della conoscenza che vanno dal settore biomedico a quello storico-economico, dalla letteratura, la storia dell’arte e lo spettacolo alla filosofia e alla scienza, con una articolata serie di proposte tra le quali gli iscritti possono liberamente orientarsi.

Studenti universitari dell’Età Libera, appunto, liberi anche di comporre i loro piani di studio, di scegliersi i loro giorni di lezione e i loro orari di frequenza; liberi di accordare le loro preferenze a specifiche aree di interesse come pure a singole materie e singoli docenti all’interno di esse. Un evolutivo percorso di accrescimento di conoscenza che equivale ad un miglioramento della qualità della propria vita e, insieme, a una presenza civica socialmente più responsabile e partecipe.

Cultura e società marciano insieme. Attraverso quali esperienze e quali personalizzati apprendimenti spetterà a ciascuno decidere. Basterà sentirsi investiti da un creativo desiderio di scoperta, obbedendo alla propria voglia di esserci e di fare, e in compagnia degli altri.

Marco Marchi

P.S. Anche il sottoscritto partecipa da molti anni come docente dell'aria umanistica a questo corsi. La mia proposta per l'anno 2013-2014  è questa (cito dal programma, reperibile anche in formato pdf  nel sito delle UEL fiorentina): "Raccontare la realtà. Pasolini tra letteratura e cinema - A chi gli chiedeva di autodefinirsi, Pasolini rispondeva di essere un poeta. La sua stessa vocazione letteraria gli si era presentata sub specie poetica: una folgorazione per via sonora, risalente a un assolato mattino estivo del 1941, a Casarsa, in Friuli. Ben presto, però, l’esercizio della poesia sarebbe apparso a Pasolini insufficiente a rappresentare il reale in tutta la sua complessità e ampiezza, ed ecco allora sopraggiungere per lui prima la narrativa e la saggistica, poi un nuovo sorprendente linguaggio: il cinema".

Ed ecco in allegato, per voi lettori di queste Notizie,  una poesia di Pier Paolo Pasolini e un estratto di uno dei suoi più celebri film.

Il canto popolare

Improvviso il mille novecento
cinquanta due passa sull'Italia:
solo il popolo ne ha un sentimento
vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
la modernità, benché sempre il più
moderno sia esso, il popolo, spanto
in borghi, in rioni, con gioventù
sempre nuove - nuove al vecchio canto -
a ripetere ingenuo quello che fu.

Scotta il primo sole dolce dell'anno
sopra i portici delle cittadine
di provincia, sui paesi che sanno
ancora di nevi, sulle appenniniche
greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
i nuovi colori delle tele, i nuovi
vestiti come in limpidi roghi
dicono quanto oggi si rinnovi
il mondo, che diverse gioie sfoghi...

Ah, noi che viviamo in una sola
generazione ogni generazione
vissuta qui, in queste terre ora
umiliate, non abbiamo nozione
vera di chi è partecipe alla storia
solo per orale, magica esperienza;
e vive puro, non oltre la memoria
della generazione in cui presenza
della vita è la sua vita perentoria.

Nella vita che è vita perché assunta
nella nostra ragione e costruita
per il nostro passaggio - e ora giunta
a essere altra, oltre il nostro accanito
difenderla - aspetta - cantando supino,
accampato nei nostri quartieri
a lui sconosciuti, e pronto fino
dalle più fresche e inanimate ère -
il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

E se ci rivolgiamo a quel passato
ch'è nostro privilegio, altre fiumane
di popolo ecco cantare: recuperato
è il nostro moto fin dalle cristiane
origini, ma resta indietro, immobile,
quel canto. Si ripete uguale.
Nelle sere non più torce ma globi
di luce, e la periferia non pare
altra, non altri i ragazzi nuovi...

Tra gli orti cupi, al pigro solicello
Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
di Toscana, con strilli di rondinini:
Hor atorno fratt Helya! La santa
violenza sui rozzi cuori il clero
calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
feroce nel feudo provinciale l'Impero
da Iddio imposto: e il popolo canta.

Un grande concerto di scalpelli
sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
suona, giganteggiando il travertino
nel nuovo spazio in cui s'affranca
l'Uomo: e il manovale Dov'andastà
jersera... ripete con l'anima spanta
nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
resta nel popolo. E il popolo canta.

Apprende il borghese nascente lo Ça ira,
e trepidi nel vento napoleonico,
all'Inno dell'Albero della Libertà,
tremano i nuovi colori delle nazioni.
Ma, cane affamato, difende il bracciante
i suoi padroni, ne canta la ferocia,
Guagliune 'e mala vita! in branchi
feroci. La libertà non ha voce
per il popolo cane. E il popolo canta.

Ragazzo del popolo che canti,
qui a Rebibbia sulla misera riva
dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
è vero, cantando, l'antica, la festiva
leggerezza dei semplici. Ma quale
dura certezza tu sollevi insieme
d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
tuguri e grattacieli, allegro seme
in cuore al triste mondo popolare.

Nella tua incoscienza è la coscienza
che in te la storia vuole, questa storia
il cui Uomo non ha più che la violenza
delle memorie, non la libera memoria...
E ormai, forse, altra scelta non ha
che dare alla sua ansia di giustizia
la forza della tua felicità,
e alla luce di un tempo che inizia
la luce di chi è ciò che non sa.

Pier Paolo Pasolini

(da Le ceneri di Gramsci)

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