VEDI I VIDEO Io scrivo poesie. Giacomo Trinci ed altri poeti a Castelfiorentino (2005) , Trinci su Italo Svevo, con sue poesie dedicate allo scrittore (2012) , Trinci legge da “Inter nos” (da 5:00) , … e ancora da “Inter nos”

Firenze, 13 luglio 2016 – Un’importante anteprima per i lettori di questo blog, oggi: tre nuove poesie di Giacomo Trinci, tre tessere testuali inedite di un libro prossimo ancora in piena formazione.

“Sono componimenti che originariamente facevano parte di un corpus di un centinaio di lieder – ci spiega il poeta –, ciascuno con il suo titolo-argomento. Stavo rileggendo e riflettendo sulla forma che Pasolini stava dando nella raccolta L’hobby del sonetto, decisiva drammatica estrema svolta in cui si cortocircuita lingua della poesia e dell’io in apparente presa diretta. La mia raccolta, liberamente ispirata da questo Pasolini estremo, sposta la forma del suo parasonetto nella sua traduzione in lied per musica, nel sogno di una partitura musicale dove rigore è libertà, rifondazione scandalosa di una lingua in fuga dal già detto, scontato, fondato“.

Anche il titolo dell’opera attualmente in progress risulta per il momento incerto, sommamente instabile: vortica attraversa una miriade di possibilità non ancora definite, forse neppure tutte per adesso profilatesi o semplicemente balenate a colui che scrive. Si va dal tentativo di configurare un personaggio già liberato dal peso del corpo-soggetto (il barbone intellettuale già sondato nella sezione dei “passaggi di Barbone” in Inter nos, per cui vedi un nostro precedente post) che un po’ leopardianamente rende formalizzabili e come un lascito ci consegna un Libro dei canti, a un titolo più tecnico e internamente ossimorico come Variazioni senza tema, dove appunto il tema assente, la radice prima del poetare che latita e si rende tragicamente irreperibile si situa comunque fuori dal testo, attendendo e nel contempo avanzando, incombendo immobile e pressando: la morte, la padrona di tutto. O ancora, parimenti fuoritesto e giocato su raddoppiati paradossi, un titolo come Di vita, troppa (ad oggi, in questa anteprima, titolo di un singolo componimento), con il recupero in sede di sottotitolo o complemento di titolo che dir si voglia, di valore evidentemente antifrastico-parodico, del già codificato Variazioni senza tema.

Sta di fatto che nel  libro che verrà di Giacomo Trinci l’assoluto sembra restare decisamente fuoricampo. E’ come se il poeta-scriba che qui ci è dato di cogliere al lavoro attraverso tre splendide prove dal suo laboratorio fosse già scomparso, dislocato altrove, funereamente compiuto, finito; ed è come se quel Trinci postumo a se stesso e a tutto ciò che poeticamente ha rappresentato per lui la propria esistenza visitasse il suo scritto estremo da lontano, rintracciando e cercando di mettere a fuoco principalmente – tra scrupolo e splendore, tramite una sorta di comica assolutezza lirica distaccata e insieme straziante, quasi una musica che vuol dire se stessa e nient’altro – il suo essere stato.

Un libro che si preannuncia, insomma, come un grande libro: un vero evento da attendere che sarà sicuramente degno di quella che non da oggi considero una delle voci poetiche più alte e compiutamente riconoscibili della poesia italiana contemporanea. Per me la più sintonicamente vicina e cara, e diciamolo pure, ma quasi tutti lo sanno e da tanto tempo, la prima.

Marco Marchi

(di vittima carnefice)

per solo sesso, ti condanni alla castità,
alla perpetua vastità del dare
senza passione
(come un monaco monco
ora mi vedo qui,
ma vedo meglio dallo schermo
di questo termine sfinito
che ghermito m’ha di fragile farfalla
battito d’ala e spillo conficcato),
come un tronco di vita solo vita
che più vita non dà, ma di ferita
avanza un resto che rimane in fine,
e santità di pus, di gas infetto
trattiene me di vittima assassino.
tu dici che la vittima possiede,
tu, che impotente la tormenti in mente

(di vita, troppa)

questo qui vedi,
ma casto di lussurie
lussuriosamente vasto

d’ampie incursioni in mente a lungo, a volo,

depravato d’innocenze, le furie,

tenuto stretto nella vita, intorno,

di veglie, macro, ed indecente;

ma d’astinenze abissali
digiuni e pentimenti sfeci me stesso,

consunto di purezza, corrotto consumai,
non ebbi voglie che non soddisfeci, insoddisfatto,
imperfetto m’estinsi quasi tutto, prima di me;

prima di sfarmi, presi di tutto un po’,

non mi contenni mai, fui continente,
mi resta quel che resta qui di tutto:
la tua treccia, canzone, abbandonata.
dura la vita dura, ed io con lei che duro,
anche dopo, d’altrove, oltre ogni muro.

(del vasto e del vano)

quello ch’è vano in te, rendilo niente,
vanificalo puro d’animale,
il sensibile tuo vano di mente
sacrificalo al cielo senza dei,
vita nella tua mano che si sfa
rendila pura d’ogni contingenza,
tu d’ogni circostanza spoglia il fiore,
il cuore del dolore che consola
abiura della sua necessità,
fanne preghiera dura che conforta
che non ha niente fuori d’ogni porta,
quello ch’estraneo suona al tuo passaggio
accogli in te, sbottona la tua veste,
non aggrapparti al fiore d’ogni maggio.

Giacomo Trinci

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