m
La grandezza tragica di King Lear mi sembra un’ottima chiave di lettura per l’universo pavesiano. E’ davvero necessario tornare a leggere e rileggere Pavese, liberandosi da inveterati schemi interpretativi e concettuali: solo così riusciremo a restituire a questo geniale autore un posto di assoluto primo piano nel nostro Novecento.
tristan51
“Crescere vuol dire veder morire”. Un grande oltre ogni moda, oltre ogni temperie del visibile, oltre ogni giudizio: un classico.
Giulia Bagnoli
Bellissima! “Sarà come smettere un vizio”: il “vizio assurdo” di Pavese è sia la vocazione al suicidio che vivere, tuttavia il “vizio assurdo” è anche quel mestiere dello scrittore che coincide con quello di vivere. Il gesto di scrivere diventa privo di senso, soltanto un gesto appunto, equiparabile a quello di togliersi la vita, nella consapevolezza che anche scrivere non serve a niente, se non a difendersi dalle offese della vita (“la letteratura è l’unica arma contro le offese della vita”, scriveva). Ho sempre immaginato Pavese come un uomo “senza pelle” che sente tutto e ad un certo punto non può più difendersi.
Duccio Mugnai
L’esperienza devastante del mancato controllo della vita si riverbera nell’impossibilità di riuscire ad amare la donna che si desidera. Così gli occhi, peraltro i primi a decomporsi in natura e ultimi particolari fisici ad essere dimenticati, arrivano solitari e freddi come una condanna, come una denuncia all’incapacità di essere maturi. “Ripeness” è impossibile. E la vita si uccide in tutto ciò che negli occhi di una donna appare come impotenza, irraggiungibilità, impossibilità di difendersi da ogni male, che sia malattia, destino avverso, persecuzioni, droga, solitudine, ecc., cioè la complessità perversa e crudele dell’esistere.