Firenze, 30 maggio 2018 – Trionfa per il mese di maggio Giorgio Caproni con un post dedicato a una delle sue composizioni poetiche più e più giustamente celebri, "Ultima preghiera" tratta dai "Versi livornesi" del "Seme del piangere" ("Il figlio fidanzato: Giorgio Caproni", che qui come al solito si ripubblica assieme ai vostri commenti). Secondo posto del podio alla grande Emily Dickinson con Emily Dickinson e il sole, al terzo, pari merito, ben tre poeti (e che poeti!): in ordine rigorosamente alfabetico Carlo Betocchi, Cristina Campo e Konstantinos Kavafis (rispettivamente con Anniversario Carlo Betocchi, Sulla via di Damasco. Cristina Campo e Kavafis e le visioni del piacere).
Tra i vostri commenti caproniani segnalo – ma la scelta non è stata facile vista la loro qualità – quelli di Elisabetta Biondi della Sdriscia, Isola Difederigo e Davide Boera (che ringrazio per l'immeritato elogio e soprattutto per la generosa opera di apostolato per il blog). Nell'ordine: "La poesia come luogo di incontri impossibili e di impossibili risarcimenti. Caproni attinge a piene mani alla fonte della tradizione letteraria per farci dono di una poesia che definirei anti letteraria, che ha la grazia e l'immediatezza della vita reale, e con una 'mise en abyme' straordinaria, una compresenza di momenti della vita tra loro distanti, una sovrapposizione di ruoli e di ricordi, affida alla sua voce poetica un messaggio altrimenti indicibile, una confessione che sarebbe impossibile 'con parole di figlio'"; "La poesia di Caproni ruota intorno alla sfiducia nella rappresentabilità del reale, e all'invenzione di allegorie e messe in scena sostitutive. Come qui, nel suo straordinario canzoniere per la madre morta dove l'esperienza del lutto è trasposta nell'epifania di Annina viva più che mai nel pensiero e nelle parole del figlio-fidanzato, a parziale risarcimento di una dolorosa negazione di senso che è prima di tutto privazione d'affetto"; "C'è Caproni e ci sono i caproni. I secondi sono, in parte, 'quelli del ministero', che forse ignorano, o forse no, che gli studenti ignorano Caproni perché a scuola, Caproni, non si fa; ché è già tanto se s'arriva a D'Annunzio. Gli altri caproni, sono 'quell'altri del ministero' che stilano i programmi. Colpa sarà 'del' Foscolo e 'del' Manzoni (l'articolo determinativo si deve all'accademia che trasforma l'uomo in cosa) che hanno scritto troppo e dei quali, per inspiegabili motivi, poco è lecito saltare (del primo, a mio sommesso avviso, una ripassata a volo di passero è più che sufficiente). Sta di fatto che i poeti del '900 stanno agli studenti di liceo italiani come Carneade sta a Don Abbondio (sto Manzoni, gira che ti rigira, salta sempre fuori). Eppure, benché Manzoni, Foscolo, Leopardi e tant'altri, consistano di tanta vita, perché la letteratura è vita per iscritto, si tralasciano quei poeti la cui sensibilità, non foss'altro che per il tempo in cui sono vissuti, è più vicina alla nostra. E magari a quella dei nostri ragazzi (il 'magari' è molto retorico e beffardo). Perciò, per tutti quelli che si chiesero, e mi chiesero, chi fosse Carneade Caproni, scelto quale analisi del testo per la maturità 2017, rispondo – ad un anno quasi di distanza – con questo bellissimo articolo dell'amico Marco Marchi, il cui blog invito a seguire, che vi spiega uno spicchio di Caproni. Spero che v'aiuti a conoscerlo e ad amarlo. Qualora non bastasse lo sguardo di questo grande vecchio che sembra aver pianto, da quegli occhi, tutto quanto l'infinito".
Buona lettura e buoni ascolti, e a domani, con un nuovo mese, nuovi poeti e nuovi testi!
Marco Marchi
Il figlio fidanzato. Giorgio Caproni
VEDI I VIDEO "Ultima preghiera" , "Ultima preghiera" letta dal poeta , "Ultima preghiera" e altre poesie dai "Versi livornesi" , "L’ascensore" , Ritratto di Giorgio Caproni , "Perch'io"
Firenze, 14 maggio 2018 – Ha dichiarato, in margine ai Versi livornesi che costituiscono la sezione fondamentale della raccolta del 1959 Il seme del piangere, Giorgio Caproni: «Tentar di far rivivere mia madre come ragazza, mi parve un modo, certo ingenuo, di risarcimento contro le molte sofferenze e contro la morte».
Il titolo dell’opera – dantesco, scrupolosamente citazionale come sarà molti anni dopo, nel 1975, Il muro della terra – è già memoria: memoria letteraria, con le sue fedeltà e i suoi inganni iperrealistici. L’epigrafe che apre il libro, comprensiva del sintagma titolativo, chiarisce meccanismi e significati di una sottoscrizione preliminare indiretta, in apparenza parziale, in realtà protagonistica e complessa nella sua unitarietà di progetto, se siamo rimandati al Purgatorio, canto XXXI, vv. 45-46, e chi parla a Dante, chi lo rimprovera severamente ben sapendo che anche il silenzio non sarebbe servito a tener nascosta la colpa, è Beatrice. Ampliando il contesto e parafrasando: «Tuttavia, dal momento che ora provi vergogna del tuo errore, e perché un’altra volta, udendo le lusinghe dei falsi beni, tu sia più forte, deponi la causa delle tue lacrime ed ascolta: così udrai come la mia morte avrebbe dovuto indirizzarti in altro senso, spingerti non ai beni della terra ma al cielo».
Siamo nel Paradiso terrestre, alle soglie della purificazione necessaria per intraprendere l’ultimo viaggio: alle requisitorie fanno seguito le esortazioni, all’aspra eloquenza delle reiterate rampogne i lucidi e struggenti argomenti della persuasione. Ed è impossibile non accorgersi dell’assolutizzazione che Caproni effettua nel privilegiare due endecasillabi esatti, piegando le ragioni del senso a quelle del suono. «Perché tu sia più forte, per essere più forte», diceva Dante a se stesso per bocca di Beatrice. Al rigore della citazione e del riferimento bibliografico esibito si abbina la libertà del taglio, portatrice, tra memoria volontaria e involontaria, di nuove coloriture semantiche: «...Udendo le sirene, sie più forte, / Pon giù il seme del piangere e ascolta...». Quel liberissimo sie, sciolto dagli originari legami subordinativi, rende possibile, modernamente, la coordinazione, si trasforma in primo appoggio in una serie parificata accresciuta.
Gli imperativi dell’affetto diventano tre, ed è un modo quotidiano di variare e di ripetere un’unica raccomandazione, meno sottilmente ragionato e invece più sottilmente efficace per rivolgersi a un bambino distratto, abituato a sbagliare e a pretendere quegli immancabili interessamenti per il suo bene. Un bambino sempre in attesa, se l’arcaico e dantesco rispitto risulta rapportabile al provenzale respit. Eppure quel sie che si presenta genericamente come un congiuntivo rimasto senza appigli è anche, nuovamente per via di memoria, l’indice della precarietà della comunicazione tentata, un preannuncio della casualità e delle pietose convenzioni che fondano il codice. I collegamenti sono difficilissimi, la linea è disturbata, cade di continuo. Dal poco che di confuso e di interrotto si riesce a ricevere nasce la poesia.
Ed ecco, per via poetica appunto, il «seme del piangere», la dantesca causa delle lacrime svelata conclusivamente in una poesia proprio così intitolata, attigua a quella Ultima preghiera che qui, nel nome della madre, si propone alla lettura e all'ascolto anche attraverso la voce del poeta stesso.
Un bambino «debole come un cerino» in una città grande, immensa e sconfinata per lui, ha cercato per tutto il giorno «la mamma-più-bella-del-mondo», ed essa non c’è più, è via, si è separata da lui, l’ha lasciato. Il bambino piange «nel buio d’un portone», è il solo ad aspettare il passaggio di Annina, a richiederlo in una città smisurata, irriconoscibile, fatta di attese vuote: «Quanta Livorno, nera / d’acqua e – di panchina – bianca!»; «Via era la camicetta / timida e bianca, viva. / Nessuna cipria copriva / l’odore vuoto del mare / sui Fossi, e il suo sciacquare» (vv. 1-2, 17-21). Il poeta ha già scritto in A Giannino: «l’amore mio che stava ad aspettarmi / solo su una panchina» (vv. 3-4). Annina, intanto, è in un fumoso bar di stazione, anche lei confusa, incapace perfino di scrivere al figlio una cartolina che dica, rasssicurandolo: «Caro, son qui» (Ad portam inferi, v. 30).
L’anima di Caproni, l’arte, è supplicata adesso di pedalare, di volare come Annina ciclista. Ora la fretta è la poesia. La polisemia del termine anima è garantita da una fonte sicuramente tenuta presente, come testimoniano analogie tematiche (il motivo del temuto disviamento), puntuali rimbalzi lessicali (congedo, va’, leggera), un impiego rimico soltanto rovesciato: «Deh, ballatetta alla tu’ amistate / quest’anima che trema raccomando: menala teco, ne la sua pietate, / a quella bella donna a cu’ ti mando». Si comincia con Dante e si finisce con Cavalcanti e ancora con Dante, se nel «dille» del v. 80 si rivela attivo il ricordo del canto VII del Paradiso, vv. 10-12: «Io dubitava, e dicea ‘Dille, dille!’ / fra me: ‘dille dicea, alla mia donna / che mi disseta con le dolci stille».
Ma è il momento, dopo tanto aspettare, di far arrossire Annina, di gettare la sigaretta che il poeta ha dato all’anima per farsi coraggio e avvicinarsi alla donna. Alla fine il messaggio sussurrato all’orecchio consiste nel dire soltanto da parte di chi è l’ambasciata: «suo figlio, il suo fidanzato».
Marco Marchi
Ultima preghiera
Anima mia, fa' in fretta.
Ti presto la bicicletta
ma corri. E con la gente
(ti prego, sii prudente)
non ti fermare a parlare
smettendo di pedalare.
Arriverai a Livorno
vedrai, prima di giorno.
Non ci sarà nessuno
ancora, ma uno
per uno guarda chi esce
da ogni portone, e aspetta
(mentre odora di pesce
e di notte il selciato)
la figurina netta,
nei buio, volta al mercato.
Io so che non potrà tardare
oltre quel primo albeggiare.
Pedala, vola. E bada
(un nulla potrebbe bastare)
di non lasciarti sviare
da un’altra, sulla stessa strada.
Livorno, come aggiorna,
col vento una torma
popola di ragazze
aperte come le sue piazze.
Ragazze grandi e vive
ma, attenta!, così sensitive
di reni (ragazze che hanno,
si dice, una dolcezza
tale nel petto, e tale
energia nella stretta)
che, se dovessi arrivare
col bianco vento che fanno,
so bene che andrebbe a finire
che ti lasceresti rapire.
Mia anima, non aspettare,
no, il loro apparire.
Faresti così fallire
con dolore il mio piano,
e io un’altra volta Annina,
di tutte la più mattutina,
vedrei anche a te sfuggita,
ahimè, come già alla vita.
Ricordati perché ti mando:
altro non ti raccomando.
Ricordati che ti dovrà apparire
prima di giorno, e spia
(giacché, non so più come
ho scordato il portone)
da un capo all’altro la via,
da Cors’Amedeo al Cisterone.
Porterà uno scialletto
nero, e una gonna verde.
Terrà stretto sul petto
il borsellino, e d’erbe
già sapendo e di mare
rinfrescato il mattino,
non ti potrai sbagliare
vedendola attraversare.
Seguila prudentemente,
allora, e con la mente
all’erta. E, circospetta,
buttata la sigaretta,
accostati a lei soltanto,
anima, quando il mio pianto
sentirai che di piombo
è diventato in fondo
al mio cuore lontano.
Anche se io, così vecchio,
non potrò darti mano,
tu mormorale all’orecchio
(più lieve del mio sospiro,
messole un braccio in giro
alla vita) in un soffio
ciò ch’io e il mio rimorso
pur parlassimo piano,
non le potremmo mai dire
senza vederla arrossire.
Dille chi ti ha mandato:
suo figlio, il suo fidanzato.
D’altro non ti richiedo.
Poi, va’ pure in congedo.
Giorgio Caproni
(da Versi livornesi, in Il seme del piangere, 1959)
I VOSTRI COMMENTI
Paolo Parrini
"Il seme del piangere" rappresenta un fulcro importantissimo della poesia di Caproni ed in esso si colloca la poesia Ultima preghiera, all'interno della raccolta "Versi Livornesi", una sorta di macro-poesia. L'invenzione geniale del Poeta è quella di cercare la madre giovane in una sorta di sdoppiamento tra il Poeta ormai cresciuto e il Poeta bambino che appunto parte per trovare Annina, madre amata e perduta. L'omaggio che Caproni fa alla madre defunta, è il più bello che c'è, la eternizza nei suoi versi immortala Annina giovane che va in bicicletta, che si muove mossa da una gioventù fresca e vitale. Incombe la guerra, incombe la morte che coglierà Anna nel 1950, ma il figlio fidanzato, che cerca un risarcimento alla morte che annulla coglie nel segno, e d'amore ricopre la polvere e la mancanza. Anna rivive e rivivrà per sempre in queste immagini col suo scialletto nero, con la sua gonna verde ed il borsellino stretto al petto.Quanto struggimento dolce e doloroso, "portavano via Annina / (nel sole) quella mattina" ("Il carro di vetro") ma quale sublime tessitura d'amore, questo grido soffuso di Caproni , quale diversità dalle altre Madri cantate mirabilmente ad esempio da Ungaretti ... qui resta Anna viva, i suoi "alberati e freschi pensieri", qui la vita risorge dentro la Poesia... qui Annina è tutte le madri scomparse e cantate e rimpiante, destino che accomuna tutti i figli del mondo e che ci rende Caproni così vicino pur nella sua Arte immensa, e ci commuove, nel profondo dell'anima.
Elisabetta Biondi della Sdriscia
La poesia come luogo di incontri impossibili e di impossibili risarcimenti. Caproni attinge a piene mani alla fonte della tradizione letteraria per farci dono di una poesia che definirei anti letteraria, che ha la grazia e l'immediatezza della vita reale, e con una mise en abyme straordinaria, una compresenza di momenti della vita tra loro distanti, una sovrapposizione di ruoli e di ricordi, affida alla sua voce poetica un messaggio altrimenti indicibile, una confessione che sarebbe impossibile "con parole di figlio".
Davide Boera
C'è Caproni e ci sono i caproni. I secondi sono, in parte, "quelli del ministero", che forse ignorano, o forse no, che gli studenti ignorano Caproni perché a scuola, Caproni, non si fa; ché è già tanto se s'arriva a D'Annunzio. Gli altri caproni, sono "quell'altri del ministero" che stilano i programmi. Colpa sarà "del" Foscolo e "del" Manzoni (l'articolo determinativo si deve all'accademia che trasforma l'uomo in cosa) che hanno scritto troppo e dei quali, per inspiegabili motivi, poco è lecito saltare (del primo, a mio sommesso avviso, una ripassata a volo di passero è più che sufficiente). Sta di fatto che i poeti del '900 stanno agli studenti di liceo italiani come Carneade sta a Don Abbondio (sto Manzoni, gira che ti rigira, salta sempre fuori). Eppure, benché Manzoni, Foscolo, Leopardi e tant'altri, consistano di tanta vita, perché la letteratura è vita per iscritto, si tralasciano quei poeti la cui sensibilità, non foss'altro che per il tempo in cui sono vissuti, è più vicina alla nostra. E magari a quella dei nostri ragazzi (il "magari" è molto retorico e beffardo). Perciò, per tutti quelli che si chiesero, e mi chiesero, chi fosse Carneade Caproni, scelto quale analisi del testo per la maturità 2017, rispondo - ad un anno quasi di distanza - con questo bellissimo articolo dell'amico Marco Marchi, il cui blog invito a seguire, che vi spiega uno spicchio di Caproni. Spero che v'aiuti a conoscerlo e ad amarlo. Qualora non bastasse lo sguardo di questo grande vecchio che sembra aver pianto, da quegli occhi, tutto quanto l'infinito.
Duccio Mugnai
Un invito all'anima poetica ad inseguire il vecchio, segreto, reale amore, dove la presenza di una madre si identifica con la vita di Livorno. L'unico modo ancora per ritrovarla dopo la morte, nell'esperienza lirica, dove ha grande spessore e vitalità la consueta, semplice quotidianità, che "si ingemma" nelle ragazze, prima della dipartita definitiva, un congedo dalla memoria appassionata e dolorosa, che fa riferimento persino ai commiati della classicità, come quelli delle canzoni petrarchesche.
Maria Grazia Ferraris
La rievocazione della madre- contro ogni retorica o sentimentalismo intimista -: un amore fuori dal tempo, contro il tempo, tra incanto e disincanto, consapevole tenerezza e regressione, fino all’ innamoramento edipico (suo figlio, il suo fidanzato) cui l'autore fa esplicitamente cenno. L’impressione immediata del lettore è che Caproni abbia voluto ignorare le ultime esperienze poetiche,( futurismo, surrealismo, ermetismo) facendo, in questa scelta simile a Saba, quella che il cuore gli ha dettato. La sua poesia nasce da particolari realistici, descrittivi, (lo scialletto nero, una gonna verde, il borsellino….) apparentemente semplici, elementari, accorati, idillici e si trasforma immediatamente, grazie a una metrica raffinata affidata al recupero di forme facili e popolari (come la canzonetta), ben posseduta ed elaborata, in canto di dolore, di perdita, di strazio, mistero. Il risultato più alto del primo Caproni è raggiunto certo con Il seme del piangere, la originale raccolta dominata dalla figura della madre Anna Picchi, la giovane donna dal carattere semplice e deciso, pudico e vitale, la cui rievocazione ci invita a prendere in esame le nostre pulsioni profonde piuttosto che le nostre immediate espansioni sentimentali.
Giulia Bagnoli
L’anima vola leggera e varca i confini della morte in questa corsa in bicicletta attraverso i luoghi dell’infanzia del poeta. È soltanto con la leggerezza che possiamo avvicinarci al mistero della vita e ritrovare un senso alle cose. Bellissima poesia dedicata alla figura della madre che attraversa tutta la raccolta “Il seme del piangere”.
Antonietta Puri
Un meraviglioso omaggio alla madre che non c'è più. In bilico tra sogno e realtà, una notte, sognando nel sogno,un Caproni ormai vecchio e stanco si ricongiunge, in una sola volta, con la madre, con la terra di appartenenza e con la propria giovinezza. Un uomo, un poeta con un vuoto nel cuore concepisce l'idea di inviare la propria anima là dove lui non può andare, alla ricerca di Annina, madre e donna ancor giovane e la esorta a farlo in fretta, perché il tempo per lui è irrimediabilmente passato e passa sempre più velocemente: questa immagine fresca e sollecita, anche grazie ai versi franti, veloci, pieni di vocali e privi di metafore, quasi musicabili, esprime una grande tenerezza ma, con un meccanismo di transfert, diventa anche la proiezione del desiderio del poeta di ritornare giovane e di rivivere quei ricordi di cui è nostalgico, insieme alla madre ancor giovane. Ed è solo separando lo spirito dal corpo che può compiere questo viaggio della memoria- più che nello spazio fisico- in un breve arco di tempo, perché è solo l'anima ormai che reca con sé i ricordi di un tempo spensierato, di un'infanzia felice in una Livorno che non sarà mai più quella di una volta, ed è l'anima che potrà sussurrare alla madre quelle cose che il figlio le aveva sempre taciuto e quell'amore da fidanzato che lo accompagna ancora.
tristan51
"Anima armoniosa, perché muta e, perché scura, tersa: / se c’è qualcuno come te, la vita non è persa". Aveva colto perfettamente nel segno Pier Paolo Pasolini in questo epigramma.
Sabina Candela
Delicato e struggente viaggio a ritroso, alla ricerca del tempo perduto!
Chiara Scidone
Caproni in questa poesia fa un commovente omaggio alla madre. Il poeta desidera tornare indietro nel tempo in cui, sia lui sia la madre, erano più giovani. Un tempo ormai andato (il tempo perduto), ormai solamente un bellissimo ricordo. E' bello che si definisca il suo "fidanzato", l'amore per la madre va oltre tutto e tutti.
Lector
Caproni è davvero una voce originale e unica: sarebbe una bella sfida riuscire anche a "esportarlo" fuori d'Italia. Ma come tradurre la sua musica così densa di significato?