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Luzi, la madre e Adonis

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Firenze, 18 giugno 2018 – Tre anni fa, in occasione del decennale della scomparsa di Mario Luzi la città di Pienza ed il suo Centro Studi La Barca stamparono, in collaborazione con l'Associazione svizzera di Mendrisio Mario Luzi-Poesia nel Mondo presieduta da Paolo Andrea Mettel, un'artistica, raffinata plaquette dal titolo A mia madre dalla sua casa.  

La pubblicazione era incentrata sulla traduzione in arabo che di questo splendido testo poetico di Onore del vero aveva fatto Adonis per omaggiare il poeta amico e la città dei suoi soggiorni estivi da lui tanto amata (traduzione effettuata sulla versione in francese, anastaticamente riprodotta nell'originale arabo autografo), ma conteneva anche un pregevole Collage analogamente dedicato (Adonis, com'è noto, è anche pittore, oltre che poeta), due bei ritratti fotografici dei due coprotagonisti e una nota di presentazione che avevo avuto il piacere di firmare.

Poesia naturale, del ritrovato accordo; e poesia dell’umano, alta poesia dell’umano. È a questo esaltante spartiacque che si situa, io credo, il più profondo, intimo ed implicante incontro tra due poeti maiuscoli come Mario Luzi e Adonis: ed è questo, credo, il significato più intenso che la sua testimonianza in onore di Luzi e di Pienza viene ad assumere. Pluricandidato al Nobel, Adonis – siriano d’origine, poi cittadino libanese, da molti anni francese, classe 1930 – è un poeta arabo di assoluto rilievo nel quadro della letteratura mondiale di oggi.

La sua opera, vasta, variegata, internazionalmente qualificata e molto tradotta – dai Canti di Mihyar il damasceno a Il teatro e gli specchi, dal Libro delle metamorfosi e Celebrazione delle cose oscure e chiare a Un desiderio che avanza sulle mappe della materia e Memoria del vento, ha presto previsto la rottura degli schemi convenzionali della poesia arabo-islamica, facendosi portavoce, nell’innovare e nell’aprirsi a forme e valori universali, di una rinascita di quella tradizione e, insieme, della difesa della libertà di pensiero e di espressione che sempre nel fatto artistico culmina.

Arte e senso dell’umano: trionfo dell’umano, attraverso la parola della poesia che ogni confine annulla e ogni barriera abbatte, e che ogni senso di fraternità ed ogni forma di comprensione, al contrario, favorisce e suggella. Distante da ogni rigido confessionalismo e da ogni forma di ossequio al potere, parimenti critico nei confronti del cinismo dell’Occidente, Adonis ha sostenuto e poeticamente interpretato con i suoi versi l’importanza della condivisione e della interrelazione fra le varie culture, valorizzando il senso di «opera comune» rivendicabile alla poesia, tra ascolto del presente, memoria del passato e speranza.

Ha dichiarato qualche anno fa Adonis nel corso di un suo viaggio in Italia, siglando l’apertura a un collettivo e davvero globale «noi» dell’arte, rispettoso delle pluralità e delle differenze: «Sì, sono d’accordo con Publio Terenzio Afro, Homo sum, humani nihil a me alienum puto; sono un uomo, non ritengo a me estraneo nulla di ciò che è umano». «A Napoli – ha detto ancora – la tomba di Virgilio è accanto a quella di Leopardi, segno di una continuità che è anch’essa una forma di dialogo attraverso lo spazio e il tempo. In modo analogo, si può essere di religioni diverse, ma quando vediamo la statua del Cristo velato di Giuseppe Sammartino nella Cappella Sansevero contempliamo un’espressione dell’arte umana. L’arte aiuta a portare tutto su un piano di profonda umanità».

Virgilio come Leopardi, e Adonis come Luzi, nel nome dell’umano, nel nome di quei significati e di quei valori di cui troppo spesso l’umanità si dimentica. Questo i grandi poeti – in ogni luogo e in ogni tempo, anche in un’epoca insensata, drammaticamente travagliata e disorientante come la nostra – ci insegnano.

Marco Marchi

A mia madre dalla sua casa

M'accoglie la tua vecchia, grigia casa
steso supino sopra un letto angusto,
forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto,
conto le ore lentissime a passare,
più lente per le nuvole che solcano
queste notti d'agosto in terre avare.

Uno che torna a notte alta dai campi
scambia un cenno a fatica con i simili,
infila l'erta, il vicolo, scompare
dietro la porta del tugurio. L'afa
dello scirocco agita i riposi,
fa smaniare gli infermi ed i reclusi.

Non dormo, seguo il passo del nottambulo
sia demente sia giovane tarato
mentre risuona sopra pietre e ciottoli;
lascio e prendo il mio carico servile
e scendo, scendo più che già non sia
profondo in questo tempo, in questo popolo.

Mario Luzi

(da Onore del vero, 1957)

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