Diego Valeri e la solitudine
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Firenze, 27 novembre 2021 – Ricordiamo Diego Valeri – nato a Pieve di Sacco in provincia di Padova nel 1887, ma approdato nel 1926 a Venezia, dove dimorerà stabilmente per molti anni in un casa in fondamenta dei Cereri – nella ricorrenza della sua scomparsa, avvenuta a Roma il 27 novembre 1976. Lo ricordiamo anche in occasione di una recente iniziativa editoriale a lui dedicata, condivisa con un grande poeta del Novecento italiano, Betocchi: la pubblicazione del carteggio intercorso tra Carlo Betocchi e Diego Valeri dal titolo Leggendo te, mi pareva di leggere dentro di me. Lettere 1937-1976, a cura di Gloria Manghetti, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2021.
Due poeti estremamente consentanei, Betocchi e Valeri, per la loro comportamentistica umana e letteraria aliena da appariscenze e clamori, ma anche, pensando in particolare alla loro poesia, per una condivisa semplicità dell'espressione che, pur nutrita di molte letture e di molta cultura, si presenta del tutto aliena da programmatiche sovrastrutture teorico-concettuali ed intellettualistici compiacimenti.
Due poeti destinati a incontrarsi, si direbbe, votati a rimanere fedeli corrispondenti nel corso degli anni, in base a comuni regole di vita e a comuni predisposuzioni all'ascolto della propria ispirazione, alla realizzazione naturale di messaggi in versi che da essa si genera. Come acutamente suggerisce Gloria Manghetti nel suo bel saggio introduttivo al carteggio: "Secondo Betocchi il solo ad avere continuato a mantenere fede 'quietamente […] al suo nascere e vivere e credere in alleanza con una poesia che mai si scostasse dall’umano e giornaliero suo esistere' era stato Valeri. Questa la verità che Carlo Betocchi, come già scriveva nel 1937, in uno dei primi contatti con il futuro compagno di strada, intuiva e sulla quale non sarebbe stato lecito discutere, perché 'continuamente testimoniata dall’intimo del cuore'. Una verità a cui lo stesso Betocchi sentiva di appartenere, dal momento che risiedeva nella 'reale interiorità del nostro sentimento poetico […]; a questa noi dobbiamo riconoscenza e gratitudine: prima di metterci al lavoro noi ringraziamo questa, che è lo stato più altamente poetico'".
Una spontaneità dialogica e relazionale destinata amichevolmente a durare e concrescere, che trova non a caso una significativa, esatta corrispondenza nelle parole che Diego Valeri dedica a sua volta all'amico Carlo in una delle lettere qui proposte. Come nota ancora la Manghetti, a margine di quel prezioso documento del 1937: "Valeri chiamava la 'stessa patria spirituale', una sorta di dimensione etica e poetica che univa l’esercizio della poesia con quello dell’anima. Uno status nutrito dal mantenersi nascostamente e intimamente fedeli a se stessi, attratti dalla sostanza del loro conversare, sempre tacita, mai declamata, trascurando, nella comune pratica del loro rapporto e nel rispetto di un autentico sentimento di amicizia, la differenza dei particolari".
In questa sensibile, percepibilissima sintonia di sentire, che valorizza per suo conto l'originalità stessa di due vite e di due carriere artistiche distinte, si svolgono per anni e anni le comunicazioni epistolari tra i due: comunicazioni che toccano eventi grandi e piccoli di due esistenze e che proprio nelle loro fase conclusiva, quella della vecchiaia, trovano in ambedue i casi una stagione umana singolarmente fervida del fare poesia. A tal punto che uno di loro (Valeri, visibilmente commosso nel riconoscimento che si rivela di per se stesso, automaticamente, anche un autoriconoscimento) potrà del tutto rispecchiarsi nella poesia dell'altro (Betocchi): "Sarà perché sono vecchio anch’io, e tanto più vecchio di te: certo, leggendo te, mi pareva di leggere dentro di me". E Leggendo te, mi pareva di leggere dentro di me è stato promosso con gusto ed efficacia a titolo azzeccatissimo del libro.
Marco Marchi
Solitudine
Solitudine dura e cara,
compagna dei miei tardi giorni,
alla mensa d’erba amara,
al torbo vino dei ricordi,
soli siamo, tu ed io.
Pur non è triste il nostro stato:
una dolcezza lenta di oblío
già impolvera e copre il passato.
E fuori ride un cielo,
splende il prato di tenere erbe.
Ancora sui rami del futuro
la speranza ha fior del verde.
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