Notizie di poesia

‘Notizie di poesia’. Marzo, il post del mese (ex aequo Betocchi-Pasolini, con i vostri commenti)

3 aprile 2024 A marzo vincono alla pari Betocchi e Pasolini: Carlo Betocchi con il post anniversario Pasqua con Carlo Betocchi basato sui magnifici versi d'augurio inviati a suo tempo al poeta amico Giorgio Caproni, e Pier Paolo Pasolini con la sua notevole poesia di appassionato impegno civile che ha prodotto Alla mia nazione. Pier Paolo Pasolini. Argento proprio per Caproni con una sua intensa composizione giovanile (Marzo secondo Giorgio Caproni). Una terna sintonica di qualificatissimi poeti del Novecento italiano che fa indubbiamente onore alle vostre sensibili antenne di lettori ormai scaltriti, fattisi con il passare degli anni esigenti ed espertissimi! Bronzo infine, di nuovo ex aequo, a D'Annunzio e Tozzi, con Le fresche parole della sera. Gabriele d'Annunzio e L'anima e le bestie. Federigo Tozzi.

Tra i commenti al post betocchiano rileviamo quelli di Giacomo Trinci, Antonietta Puri e Arianna Capirossi. Rispettivamente, in sequenza: "L'unico "realismo": quello della poesia. Si potrebbe iniziare così, un discorso sul cammino misterioso, lampeggiante della poesia di Carlo Betocchi: devota alle figure, alle cose del mondo, segni di qualcosa che ne attraversa il folgorante apparire. Ogni volta, nel suono delle parole, nel suo verso, si ritrova l'antica confidenza del divino nel mondo. Come qui, in queste croci fatte "un po' di tutto", di materiale povero, come quella ch'ebbe Gesu'... ecco, il mistero del comune, del basso, degli scarti subito lavorato da quella forza che, con Luzi, viene voglia di chiamare, il "giusto della vita". Dobbiamo ripartire da qui, dalla terrestrità celeste di questa poesia pasquale indirizzata per auguri ad un altro grande fratello in poesia, Giorgio Caproni, per ritrovare un respiro nuovo, adatto a salvare la nostra parte viva, dal capitale morto che ci grava addosso"; "Una lirica preziosa quella di Betocchi che, come la maggior parte delle sue composizioni, è pervasa di grande spiritualità che sempre lo induce a cogliere l'essenza delle cose e degli avvenimenti. La poesia d'auguri all'amico Caproni si erge a difesa, se non ad esaltazione degli umili, degli oppressi, dei diseredati che carichi della loro povera croce fatta di scarti, non dissimile a quella del Cristo, la ostentano quasi contro un cielo arioso e azzurro che promette un giorno, dopo la morte "necessaria", la Resurrezione a riscatto e ricompensa delle sofferenze terrene. Proprio come quel Cristo che, oltraggiato, deriso e crocifisso fuori delle mura della città, come scarto dell'umanità, svetta per sempre sul mondo intero, sorreggendo la bandiera della vittoria della vita sulla morte, della carità sull' egoismo.Una lirica preziosa quella di Betocchi che, come la maggior parte delle sue composizioni, è pervasa di grande spiritualità che sempre lo induce a cogliere l'essenza delle cose e degli avvenimenti. La poesia d'auguri all'amico Caproni si erge a difesa, se non ad esaltazione degli umili, degli oppressi, dei diseredati che carichi della loro povera croce fatta di scarti, non dissimile a quella del Cristo, la ostentano quasi contro un cielo arioso e azzurro che promette un giorno, dopo la morte "necessaria", la Resurrezione a riscatto e ricompensa delle sofferenze terrene. Proprio come quel Cristo che, oltraggiato, deriso e crocifisso fuori delle mura della città, come scarto dell'umanità, svetta per sempre sul mondo intero, sorreggendo la bandiera della vittoria della vita sulla morte, della carità sull' egoismo"; " 'Per Pasqua: auguri a un poeta' è un componimento in terzine di endecasillabi sciolti che sviluppa una riflessione sul tempo di Pasqua. Il ritmo è mosso dalla varietà degli endecasillabi, non unicamente piani (alcuni sono sdruccioli e uno è tronco), e dalla presenza di enjambement. Dominano la poesia la parola-chiave "croci" ("croce") e il campo semantico della povertà: tutto, dal paesaggio circostante alla propria condizione esistenziale, è riportato dallo sguardo del poeta alla vicenda umana di Gesù Cristo. La figura della croce è descritta nella sua materialità e nella sua sublime umiltà: fatta di filagne spaccate e di scarti e, nel contempo, viva e solenne e svettante sulle colline. I suoni duri e ruvidi "r" e "c" caratterizzano la descrizione della croce di Cristo secondo il poeta: "rimediata / tra ' rimasugli d'un antro artigiano, / commessa con cavicchi raccattati", suggerendo un'idea di povertà e di quotidianità subito elevata e resa eccezionale tramite l'aggettivazione in climax: "estrosa, ed alta, ed indomabile". I suoni scuri "o" ed "a" che si susseguono in questi versi suggeriscono la potenza tonante e infinita del simbolo della croce. Questa forza si cela nell'umile quotidiano e appartiene allo stesso poeta, il quale la condivide con il fraterno amico Caproni. La grandezza della croce che domina la collina sta nella sua semplicità, così come la grandezza del poeta sta nel chiudere il componimento sublimando un termine, "poveraccio", solitamente impiegato in senso dispregiativo: "poveraccio", ai tempi di Cristo (così come nei tempi di San Francesco e in quelli odierni), era (è) considerato colui che "vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore"; eppure, proprio la sua convinta povertà e il rispetto altrui erano la sua forza e il suo coraggio, ponendolo controcorrente rispetto alla vile avidità che rende meschini, grevi, violenti. L'eternità del messaggio cristiano è, nel volgere di questi versi, sancita in contrasto con la finitudine di chi non conosce amore".

Tra i commenti dedicati a Pasolini ci piace segnalare quelli di Giacomo Trinci, Matteo Mazzone e Maria Grazia Ferraris. Rispettivamente, nell'ordine: "Il dire della poesia, in questa fase del percorso di Pasolini, è come scagliato nel dirupo della storia, nel magma di una realtà fangosa. Ma attenzione, in questa poesia 'Alla mia nazione' la gettata sintattica sprofonda la lingua attraverso l'ira e il furore in quel residuo di canto rovesciato tra due parole perdute: 'male-madre'; la sconnessione tra suono e senso, fra intelligenza e orecchio che ha caratterizzato l'etimo da cui è nato il canto civile del Pasolini delle 'Ceneri' e della 'Religione del mio tempo', e che ha caratterizzato la sua musica della sintassi, trova qui una sintesi fulminante nel distico finale di questa poesia, dove, appunto mare e madre, rovesciano la loro traccia melodica in uno sprofondo e un'apocalisse ghiacciata. L'ombra antica del canto è qui annegata nel furore ragionato e ivi spento"; "La patria è da sempre stata utilizzata come analisi stereometrica della società, in primis, e della civiltà, in secundis. Il sentimento di Pasolini verso la nozione di nazione è notevolmente cambiato nel suo iter scrittorio: se agli inizi della sua sperimentazione poetica egli si lasciava trasportare dalla 'rosada' dei contadini friuliani, nuova élite anti-capitalistica a cui rivolgersi - espressione di una semiotica verginità e di una casto significante – progressivamente l'idea e l'ideale di nazione abitata da uomini puri in quanto creature etimologicamente innocenti – cioè non in grado di nuocere - si abbuia in conseguenza dello sviluppo neocapitalistico, conformistico e conformista: è quest'ultimo, un calderone, un guazzabuglio di benesseri effimeri, di gratuite e politicizzate spettacolarizzazioni borghesemente sconce e prepotentemente affacciatesi sull'Italia degli anni '60. La classe è il nemico, perché a lei manca la coscienza. La dominante e squallida categoria dei perbenisti tuttofare, degli indigenti del non-scandalo: la borghesia, insomma, sempre prona alla legge economica, al prodotto, campione del potere e verga della moralità, sallustianamente simulatrice e dissimulatrice. È l'imperversare di questo rivitalizzato ceto sociale a contraddire la purezza, il candore di quell'Italia contadina, basso-proletaria ormai passata, obliata, né più mai (ri)attuabile. A Pasolini non rimane che combattere, gettando il suo corpo nella lotta, tutte le forze negative del moralismo ipocrita nazionale, riflesso dell’incapacità critica e della faciloneria più ignorante. Lotta che, purtroppo, pagò con la vita"; "Davvero l’Italia contemporanea ha avuto in Pasolini il suo poeta civile, offeso e rabbioso, testimone della corruzione, dell’imborghesimento, l’omologazione materialista contro cui lancia le sue invettive implacabili, quasi disperate. La sua prima “eresia”, sta nella sua capacità, cuore e visceri insieme, di scandalizzarsi della realtà degli uomini e delle loro cose, anche quando razionalmente ne rinnega l’adultità, la coerenza, la (pseudo )religiosità. La cultura piccolo-borghese denunciata con veemenza... è sempre corruttrice ed impura, cultura da caserma, da seminario, una spiaggia libera, un casino! Il rimpianto di quello che fu “una nazione vivente, una nazione europea” lo spinge a desiderare la definitiva perdita di questa realtà storica incosciente nazione, senza alcuna possibilità di riscatto: “Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.”-  è l’invito appassionato finale. Può essere considerato in questa sua forza di denuncia Poeta e uomo della contraddizione,ma anche un indagatore "religioso" dell’anima arcaica, incontaminata, un difensore di ogni diversità, un implacabile moralista, un singolare profeta del passato e delle origini…, rimane di una forza di denuncia civile sempre attuale".

Buon aprile a tutti !

Marco Marchi

Pasqua con Carlo Betocchi

VEDI I VIDEO "Per Pasqua: auguri a un poeta""Un passo, un altro passo" , "Il dormente" , "Così come ormai sono" Intervista a Carlo Betocchi , "Piazza di fanciulli a sera"

VISITA IL SITO Centro Studi e Ricerche Carlo Betocchi

Firenze, 31 marzo 2024 – Auguri di Buona Pasqua con versi bellissimi di Carlo Betocchi: versi da lui scritti per augurare la Buona Pasqua a un altro poeta «fratello» in umiltà e grandezza, Giorgio Caproni. E nuova occasione per segnalare che il «caso Betocchi» resta uno scandalo letterario del nostro tempo. Se Firenze non da oggi ha dedicato a Carlo Betocchi un centro studi e un premio che ogni anno si celebra, se a Firenze in perfetto orario sulla data anniversaria ha a suo tempo degnamente ricordato il trentennale della morte del poeta, altrove a un autore tra i massimi che la letteratura italiana novecentesca abbia avuto si tende spesso a negare il riconoscimento che gli spetta: un riconoscimento che dovrebbe risultare unanime e convinto per evidenza di fatti (valga anche la stupenda poesia di oggi, Per Pasqua: auguri a un poeta).

Si continua al contrario a trovarci di fronte ad un poeta dimenticato o nel migliore dei casi sottovalutato e frainteso. Giocano contro Betocchi – lo abbiamo altre volte notato e torniamo a ripeterlo – molti elementi: la sua toscanità un tempo vincente, il suo esibito ancorché discusso cristianesimo, la sua stessa, autorizzata e semplificata, immagine di poeta per dono, per grazia ricevuta, che al contrario abbina ai suoi innati talenti alte dosi di conquistata cultura. Tutto congiura a penalizzare un messaggio meraviglioso, trepidante e inquieto, quanto mai necessario in un mondo che sempre di più si dimentica, assieme alla poesia di Betocchi e alla poesia tout court, dell’uomo.

L’invito, per reagire, è quello a rileggere l’autore di Realtà vince il sogno, L’Estate di San Martino e le Poesie del Sabato, e a rileggerlo in Tutte le poesie ristampate di recente da Garzanti secondo la felice immagine-sigla che di lui ci ha lasciato Andrea Zanzotto: «poeta dei tetti, delle tegole» e insieme «poeta del cielo». Betocchi – da poeta «terrestre e celeste», per dirla con un altro grande poeta suo amico, Mario Luzi – è là, sull’arduo discrimine in cui l’«io» e il reale si incontrano, s’interrogano, comunicano. «Dai tetti», per dirla con un titolo betocchiano, secondo quel simbolico luogo deputato della trascendenza a portata d’uomo, linea di confine tra dimensioni che si integrano, di appannaggi umani irrinunciabili e spiritualmente qualificanti.

Auguri di Buona Pasqua con Carlo Betocchi!

Marco Marchi

Per Pasqua: auguri a un poeta

a Giorgio Caproni

Giorgio, quante croci sui monti, quante,
fatte d’un po’ di tutto, di filagne
che inclinate si spaccano, di scarti,

ma croci che respirano nell’aria,
in vetta alle colline, dove i poveri
hanno anch’essi un colore d’azzurro,

la simile cred’io l’ebbe Gesù,
non già di prima scelta, rimediata
tra’ rimasugli d’un antro artigiano,

commessa con cavicchi raccattati,
eppure estrosa, ed alta, ed indomabile
e tentennante com’è la miseria:

ecco la nostra Pasqua onde ti manda
il mio libero cuore quest’auguri
pensando che non è per l’occasione

ma per quella di sempre, che si salva
dalle occasioni, del cuor che non soffre
che del non amare, e sempre sta in croce

con un cartiglio fradicio che in vetta
dice: È un poveraccio, questi che vuole
ciò che il mondo non vuole, solo amore.

Carlo Betocchi

(da L’Estate di San Martino, 1961, in Tutte le poesie)

I VOSTRI COMMENTI

Per Tristan 51
Solo Betocchi poteva scrivere versi come questi. Un gioiello (gioiello di povertà, gioiello di carità, gioiello di verità, gioiello di umanità), un capolavoro.

Angela Bottari
Suonano straordinariamente attuali i versi di Bertocchi, ora che abbiamo visto alta e "tentennante" la Croce ricavata dal legno dei balconi infranti sulle nostre spiagge insieme alle vite e i sogni dimigranti di ogni età i e nei luoghi dove regnano la povertà - anche morale - e l'abbandono, come richiesta di perdono e simbolo di possibile riscatto. E proprio oggi cerchiamo attraverso questi versi di recuperare un barlume di speranza, proprio mentre nel mondo continuano a suonare sirene di guerra e ci sembra calpestato e sepolto tra le macerie quel cartiglio che dice "È un poveraccio, questi che vuole ciò che il mondo non vuole, solo amore".

Angela per Antonella Bottari
"La Croce irraggia luce dal Calvario, / di nuovo posta da Rosmini al sommo: / dice in
salvezza del mondo precario / che un solo Amore è vero e necessario".
Al tema della croce è dedicata questa poesia di Rebora, scritta per la festa di Cristo Re del 1955, in occasione del centenario della morte di Antonio Rosmini; premessa necessaria ad introdurre il percorso spirituale di Betocchi il quale anche in "Resurrexit" riflette sul mistero pasquale, dato che in un verso si percepisce nettamente il desiderio di rinnovamento insito nel mistero della Pasqua: "Via il peso delle private abitudini!" Il mutamento, invocato come si invoca la pioggia benedetta è desiderio di Grazia da condividere.
La poesia scelta oggi, dedicata a Caproni, reca in sè traccia ineludibile a mio parere, di questo percorso spirituale, ma in diverso modo.
Si apre con uno scenario di croci sul
monte e sulle colline: croci, croci di poveri come quella di Cristo, povero tra i poveri, che ebbe una croce rimediata tra gli scarti di un falegname, " eppure estesa, ed alta, ed indomabile / e tentennante com'è la miseria".
La precarietà diviene, come in tutto il Novecento, garanzia di reattività e di
grandezza.
Gli auguri non sono di circostanza, ma dettati dal profondo dell' essere vivi e dal cuore che patisce solo di non amare.
È un messaggio ideale, da poeta a poeta, da anima ad anima, con fede il primo, indirizzato ad un uomo stanco e provato anch' egli da un senso di sconforto temporale.
Come una carezza affettuosa, mite e meditativa, che oggi è anche per tutti noi.
Auguri professore, e grazie!

framo
"Tu non scrivi le parole ... scrivi con le cose, anzi coi corpi vivi e viventi, anche quando appartengono al regno minerale o a quello del puro spirito ...". Queste poche frasi, tratte da una delle tante lettere di Caproni all'amico Carlo, assieme alla stima evidentemente reciproca, raccontano di una vicinanza tra poeti autentici, "naturali" - nel senso di non "voluti" -, poeti senza posa, e del loro umanissimo, comune sentire, teso a non volere "fare versi che non si siano patiti di persona" (citando liberamente Betocchi in una delle tante lettere all'amico Giorgio).
Come non amare un poeta che all'amico poeta scrive: "senza una parola di vita non c'è né inferno né paradiso e senza inferno e paradiso non ci sono poeti"? Evviva Betocchi, evviva Caproni.
Grazie e una serena Pasqua a lei e a tutti noi.

Isola Difederigo
Un invaso d'azzurro, un libero cuore, un poeta per amico, e una croce. È Pasqua! Umile, altissimo Betocchi.

Giacomo Trinci
L'unico "realismo": quello della poesia. Si potrebbe iniziare così, un discorso sul cammino misterioso, lampeggiante della poesia di Carlo Betocchi: devota alle figure, alle cose del mondo, segni di qualcosa che ne attraversa il folgorante apparire. Ogni volta, nel suono delle parole, nel suo verso, si ritrova l'antica confidenza del divino nel mondo. Come qui, in queste croci fatte "un po' di tutto", di materiale povero, come quella ch'ebbe Gesu'... ecco, il mistero del comune, del basso, degli scarti subito lavorato da quella forza che, con Luzi, viene voglia di chiamare, il "giusto della vita". Dobbiamo ripartire da qui, dalla terrestrità celeste di questa poesia pasquale indirizzata per auguri ad un altro grande fratello in poesia, Giorgio Caproni, per ritrovare un respiro nuovo, adatto a salvare la nostra parte viva, dal capitale morto che ci grava addosso.

Elisabetta Biondi della Sdriscia
Elisabetta Biondi della Sdriscia: Betocchi con penna quotidiana, umile, dimessa - volutamente dimessa - tocca direttamente il cuore "dell'enigma", il significato profondo della Pasqua, il suo messaggio d'amore inascoltato. E quelle croci sfilacciate, inclinate, povere come la nostra incerta fede, sono tutta la nostra ricchezza e svettano, si stagliano contro l'azzurro del cielo! "Non omnes arbusta iuvant humilesquae myricae".

Maria Antonietta Rauti
Stupendi i versi "È un poveraccio, questi che vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore." È un pensiero che nasce da un sentimento vero, quello che solo i Poeti son capaci di far vivere e sopravvivere.

Chiara Scidone
Con questa poesia dedicata a Caproni, il poeta augura una buona pasqua, chiedendo e desiderando nient'altro che amore. Una cosa insolita e strana per tutto il resto del mondo che non comprende questa sua richiesta, perché attaccato alle cose materiali. Un augurio semplice e sincero ma allo stesso tempo anche profondo.

Arianna Capirossi
"Per Pasqua: auguri a un poeta" è un componimento in terzine di endecasillabi sciolti che sviluppa una riflessione sul tempo di Pasqua. Il ritmo è mosso dalla varietà degli endecasillabi, non unicamente piani (alcuni sono sdruccioli e uno è tronco), e dalla presenza di enjambement. Dominano la poesia la parola-chiave "croci" ("croce") e il campo semantico della povertà: tutto, dal paesaggio circostante alla propria condizione esistenziale, è riportato dallo sguardo del poeta alla vicenda umana di Gesù Cristo. La figura della croce è descritta nella sua materialità e nella sua sublime umiltà: fatta di filagne spaccate e di scarti e, nel contempo, viva e solenne e svettante sulle colline. I suoni duri e ruvidi "r" e "c" caratterizzano la descrizione della croce di Cristo secondo il poeta: "rimediata / tra ' rimasugli d'un antro artigiano, / commessa con cavicchi raccattati", suggerendo un'idea di povertà e di quotidianità subito elevata e resa eccezionale tramite l'aggettivazione in climax: "estrosa, ed alta, ed indomabile". I suoni scuri "o" ed "a" che si susseguono in questi versi suggeriscono la potenza tonante e infinita del simbolo della croce. Questa forza si cela nell'umile quotidiano e appartiene allo stesso poeta, il quale la condivide con il fraterno amico Caproni. La grandezza della croce che domina la collina sta nella sua semplicità, così come la grandezza del poeta sta nel chiudere il componimento sublimando un termine, "poveraccio", solitamente impiegato in senso dispregiativo: "poveraccio", ai tempi di Cristo (così come nei tempi di San Francesco e in quelli odierni), era (è) considerato colui che "vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore"; eppure, proprio la sua convinta povertà e il rispetto altrui erano la sua forza e il suo coraggio, ponendolo controcorrente rispetto alla vile avidità che rende meschini, grevi, violenti. L'eternità del messaggio cristiano è, nel volgere di questi versi, sancita in contrasto con la finitudine di chi non conosce amore.

Duccio Mugnai
Augurio di una vera Pasqua, non d'occasione, come ce ne sono tante, ma di consapevolezza profonda delle sofferenze umane, di cui è fatta la croce di Cristo, degli scarti dei poveri, di cavicchi tentennanti, ma alta ed indomabile come la miseria. A questa vera Pasqua di consapevolezza e responsabilità la poesia di Betocchi richiama, con accorato appello, la profondità lirica, artistica ed umana di Caproni

Antonietta Puri
Una lirica preziosa quella di Betocchi che, come la maggior parte delle sue composizioni, è pervasa di grande spiritualità che sempre lo induce a cogliere l'essenza delle cose e degli avvenimenti. La poesia d'auguri all'amico Caproni si erge a difesa, se non ad esaltazione degli umili, degli oppressi, dei diseredati che carichi della loro povera croce fatta di scarti, non dissimile a quella del Cristo, la ostentano quasi contro un cielo arioso e azzurro che promette un giorno, dopo la morte "necessaria", la Resurrezione a riscatto e ricompensa delle sofferenze terrene. Proprio come quel Cristo che, oltraggiato, deriso e crocifisso fuori delle mura della città, come scarto dell'umanità, svetta per sempre sul mondo intero, sorreggendo la bandiera della vittoria della vita sulla morte, della carità sull' egoismo.Una lirica preziosa quella di Betocchi che, come la maggior parte delle sue composizioni, è pervasa di grande spiritualità che sempre lo induce a cogliere l'essenza delle cose e degli avvenimenti. La poesia d'auguri all'amico Caproni si erge a difesa, se non ad esaltazione degli umili, degli oppressi, dei diseredati che carichi della loro povera croce fatta di scarti, non dissimile a quella del Cristo, la ostentano quasi contro un cielo arioso e azzurro che promette un giorno, dopo la morte "necessaria", la Resurrezione a riscatto e ricompensa delle sofferenze terrene. Proprio come quel Cristo che, oltraggiato, deriso e crocifisso fuori delle mura della città, come scarto dell'umanità, svetta per sempre sul mondo intero, sorreggendo la bandiera della vittoria della vita sulla morte, della carità sull' egoismo.

Maria Antonietta Rauti
Stupendi i versi "È un poveraccio, questi che vuole / ciò che il mondo non vuole, solo amore." È un pensiero che nasce da un sentimento vero, quello che solo i Poeti son capaci di far vivere e sopravvivere.

Matteo Mazzone
Una delle più importanti personalità del panorama letterario internazionale, verso la quali si accende da parte del lettore colto quel concetto di "oggettività d'ammirazione", in quanto personificatore di un'arte unanime, globale, per tutti. Betocchi poeta della semplicità stilistica, riecheggiante - almeno in questo testo - una cadenza pascoliana: come i rapidi e semplici quinari conclusivi di ciascuna strofa. Semplicità dello stile dunque, elaborata e connaturata con una profonda conoscenza letteraria, dove i modelli precedenti e contemporanei si misurano, si fiancheggiano, si abbracciano. Al poeta dobbiamo la riscoperta della poesia come movimento in lento, in adagio, delle sensazioni umane, dei sentimenti etici e morali. Sulla scia di Sbarbaro, di Rebora, poi di Penna, Betocchi poco conosciuto, poco letto, (ma forse come i citati) deve conoscere obbligatoriamente una rivalutazione metaletteraria: il riconoscimento di un modello di dolcezza, un maestro di semplicità e delicatezza.

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Alla mia nazione. Pier Paolo Pasolini

VEDI I VIDEO "Alla mia nazione" di Pier Paolo Pasolini letta da Vittorio Gassman , Da "Il glicine" , Pasolini legge versi da "Poesia in forma di rosa" , "Io so" , "Che paese meraviglioso era l’Italia…" letto da Toni Servillo , Teaser trailer del film "La macchinazione" di David Grieco, con Massimo Ranieri

Firenze, 5 marzo 2024 – Ricordando che il 5 marzo 1922 nasceva a Bologna Pier Paolo Pasolini.

All’altezza cronologica della Religione del mio tempo – raccolta a cui i versi di Alla mia nazione appartengono – , il glicine dell'omonima poesia non è più per Pasolini l’emblema di una pura esistenza perennemente rinnovantesi come all’epoca dell’Usignolo della Chiesa Cattolica, ma il simbolo di una verginità defunta: la resistente restituzione lirica di una consapevolezza oltranzistica, semmai, da mistico-razionalista smentito. La poesia si prepara in realtà ad adattarsi agli esiti rigorosamente maturati all’interno del proprio esercizio: si appresta a subire il crollo, a sopravvivere, simulare, mimetizzarsi, pragmatizzarsi e magmatizzarsi, nascondersi – lei mito sfuggente, intonazione, ma anche etimologicamente vento che soffia dall’esterno – in altre «forme della poesia».

Poesia in forma di rosa, intitolerà fra poco il poeta. Andar per fiori all’Inferno: nella Divina Mimesis (con umili «fiorucci», danteschi «fioretti», «fiorellini», con un pascoliano prato del cosmo incontrato sul cammino) e in Petrolio (dove il glicine, con il suo profumo da rappresentazione sinestetica di una realtà lontana dalla realtà, farà testuali apparizioni). Come per diffrazione – poesia del sesso in tempi di esaurimento repressivo e di incipiente permissivismo sociale – sboccia in ambito cinematografico Il fiore delle Mille e una notte.

Ma poi verrà l’«abiura dalla Trilogia della vita», si stabilizzeranno una volta per sempre toni espressivi terminali da Tetro entusiasmo, su un «cuore» ideologicamente accordabile in chiave marxista con Gramsci prevarranno le «buie viscere» contro di lui. Pasolini in Petrolio scenderà davvero all’Inferno, come nella vita e come in molte delle sue sterminate letture, dei suoi grandi riscontri letterari anche in Descrizioni di descrizioni saggisticamente convocati e resi efficienti: da Strindberg a Sade (Salò!), da Dostoevskij a Dante, secondo ulteriori iridescenze, adesso, di un Dante interpretato come grande veicolatore garante della possibilità autoanalitica estrema in termini di poesia, se in chi elabora Petrolio – lo ha notato con pertinenza Aurelio Roncaglia – «l’impulso più profondo non è di tipo oggettivo-narrativo, bensì d’intima ricerca, dunque inclinato a un istintivo lirismo». Pasolini affonda il bisturi nel proprio corpo, fa della sua affilata ed oltranzistica «autoanalisi» un’«autopsia».

Dante come sperimentazione del morire, del vedere e comprendere attraverso la morte. Lo scandalo si rinnova, un’eretica, equivocata e inaccettata «forza del passato» si estremizza in forma linguistica, in struttura, in genere letterario nuovo ambiziosamente intentato su base culturalistica dispiegata e di nuovo contaminata (dalle Argonautiche di Apollonio Rodio a L’écriture et l’expérience des limites di Philippe Sollers); ma i termini essenziali del confronto si ripropongono pressoché immutati, tra pressanti richieste ideologiche di pronunciamento e di giudizio ed esigenze di testimonianza poetica, di intransigente, finale e ultramondana autorappresentazione conoscitiva in cifra di obbedienza poetica.

Un sogno visionario di bolge e gironi in cui il capire è «gioiosa cognizione del capire», dove i personaggi pare che parlino una lingua «meravigliosa», più che mai poeticamente risonante e lucente, «in versi o in musica». E non si può non ripensare, a integrazione del discorso e per contrasto, magari assieme ai versi accesamente polemici di Alla mia nazione che oggi si propongono, ai versi del Glicine che già ad apertura degli anni Sessanta, all'interno di una raccolta in cui il tema civile, appunto, al pari che nelle Ceneri di Gramsci esigeva risposte e ancora potentemente si stagliava,  dicevano: «tra il corpo e la storia, c’è questa / musicalità che stona, / stupenda, in cui ciò che è finito / e ciò che comincia è uguale, e resta / tale nei secoli».

Marco Marchi

Alla mia nazione

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico,
        ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
        governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
        funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
        Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
        tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
        proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
        che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

Pier Paolo Pasolini 

(da La religione del mio tempo, 1961, ora in Tutte le poesie)

I VOSTRI COMMENTI

Angela Per Antonella Bottari
"Alla mia nazione" e' riscoprirsi figlio. Di un luogo del quale tutti noi siamo figli ma che non viene mai appellato col nome caro al cuore, Italia, tantomeno col più fulgido, Patria. Il conato di disgusto è tanto più potente quanto più forte vibra il sentimento per un ideale vilipeso e calpestato. Il poeta bussa veemente alla finestra della nostra coscienza civile, con versi ardenti che tagliano e staffilano ferocemente.

Pina Speciale
Grande Pasolini! Una rappresentazione visionaria della nazione italiana , moralmente decaduta e ormai lontana dallo splendore di un tempo. Pasolini lancia contro l'Italia una potente invettiva di sapore dantesco.

Antonietta Puri
Come non rimanere stupefatti di fronte alla sempre fresca attualità di Pasolini, conoscitore, profeta e poeta - perché poeta essenzialmente è, di ieri, di oggi e di domani-...?. Di fronte a questo epigramma sull'Italia - che mai viene chiamata col suo nome, ma sempre come "nazione", dando a questo appellativo una connotazione di "nascita" più che quella di "terra dei padri", come a ogni italiano che l'ami verrebbe il desiderio di chiamare la propria terra - si resta sorpresi per la sua incredibile attualità, per come la tentazione di disconoscere la nostra nazione aumenti con gli anni in maniera esponenziale e per come , oggi più che mai, comprendiamo come il popolo italiano sia purtroppo ancora un insiem troppo eterogeneo di persone nate entro certi confini (e li difendano con le unghie e coi denti, erigendo muri ideologici e razzisti) piuttosto che gente che abbia maturato e sia cresciuta, condividendo un senso di appartenenza. E' pur vero che Pasolini sembra voler parafrasare Leopardi quando questi nella sua opera "Dei costumi degl'italiani" ci definisce crudeli, cinici, incapaci di autentica moralità, indifferenti a tutto, privi di amor proprio e senso dell'onore...; ed è pure vero che noi italiani siamo portati verso quella che Gadda chiamava la "porca rogna del denigramento di noi stessi" - e credo che entrambi avessero buone ragioni per affermarlo - , ma escludo che Pasolini, parlando del rifiuto verso la propria nazione, accusandola di essere il ricettacolo di figure turpi e disgustose, intenda disprezzare e insultare la patria, ma credo piuttosto che voglia denunciare - allora come ora (fatti gli ovvi distinguo) - una classe dominante guasta, falsa, farisaica e spietata e quindi ..."sprofondino" nel mare che circonda la nostra penisola quelle persone che, ieri come oggi, resero e rendono la nostra nazione indegna di stima!

Romana Burroni
Comunista, anticlericale,cosmopolita dalle idee molto progressiste nell'arte, nella letteratura e nel cinema, il Vangelo secondo Matteo, Accattone... sono da considerarsi pietre miliari nella storia della cinematografia. Anche omosessuale, sarà il rapporto che avrà con questa parte di sé che lo renderà personaggio pubblico giudicato da quei "milioni di piccoli borghesi" sempre chiusi nei loro cerimoniali recitanti tante belle parole. "Alla mia Nazione", ritenuta in un primo tempo un insulto alla Patria, è poesia e non ideologia, è la lettera alla sua Nazione sede di una classe dominante reazionaria, conformista, ipocrita, razzista, disumana..., è un vomito di invettive verso il suo popolo che annaspa cieco, contaminato, e malato...nel male.
"Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo". Sono gli ultimi versi di " Alla mia Nazione". Rabbioso auspicio, desiderio di liberazione... Sconvolgente attualità!

Tristan 51
Un classico ineludibile della letteratura italiana del secondo Novecento. Un intellettuale come oggi non ce ne sono, un artista poliedrico e multiforme alla base del cui insanziato experiri c'è sempre, costantemente avvertita ed esaudita, la chiamata della poesia. Pasolini, in qualsiasi modo e in qualsiasi accezione, poeta sempre, e a livelli spesso altissimi.

Greta
Una vox clamantis in deserto quella di Pasolini, contemporaneo prima di ogni tempo; una presenza nell’assenza, che riecheggia ancora oggi, a distanza di anni, nel mutismo che ha posto ormai sotto assedio la voce delle nostre coscienze.

Maria Grazia Ferraris
Davvero l’Italia contemporanea ha avuto in Pasolini il suo poeta civile, offeso e rabbioso, testimone della corruzione, dell’imborghesimento, l’omologazione materialista contro cui lancia le sue invettive implacabili, quasi disperate. La sua prima “eresia”, sta nella sua capacità, cuore e visceri insieme, di scandalizzarsi della realtà degli uomini e delle loro cose, anche quando razionalmente ne rinnega l’adultità, la coerenza, la (pseudo)religiosità . La cultura piccolo-borghese denunciata con veemenza... è sempre corruttrice ed impura, cultura da caserma, da seminario, una spiaggia libera, un casino! Il rimpianto di quello che fu “una nazione vivente, una nazione europea” lo spinge a desiderare la definitiva perdita di questa realtà storica incosciente nazione, senza alcuna possibilità di riscatto: “Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.”- è l’invito appassionato finale. Può essere considerato in questa sua forza di denuncia Poeta e uomo della contraddizione,ma anche un indagatore "religioso" dell’anima arcaica, incontaminata, un difensore di ogni diversità, un implacabile moralista, un singolare profeta del passato e delle origini…, rimane di una forza di denuncia civile sempre attuale.

Isola Difederigo
Anche la vena civile di Pasolini, la sua rabbia, il suo odio borghese, obbedisce ad un io lirico incircoscritto e indiviso, che ingloba il popolo e la storia, la società e la lingua in forma di antropologia del profondo. Tra la scoperta della poesia e questa allargata vocazione alla realtà, la pronuncia poetica di Pasolini si fa testimoniale e profetica, la sua voce un

Lorenzo Dini
A dare ragione dell’inesausto sperimentalismo pasoliniano, da narratore a cineasta, da scrittore di opere teatrali a giornalista, è l’attività poetica: come acutamente ha notato Enzo Siciliano: “il nodo pasoliniano si scioglie con la poesia che l’avviluppa”. È il poeta a farsi investigatore dei mali della società a lui contemporanea, a denunciarne la “malattia borghese” come emerge chiaramente dalla poesia: quei “milioni di piccoli borghesi come milioni di porci” saranno successivamente protagonisti di altre opere, come in Teorema. Questa dolorosa analisi, Pasolini ha del resto confessato più volte la repulsione causata dall’affondare il bisturi nel copro decomposto della borghesia, questa meticolosa anamnesi si fa atto di dolore dei nostri tempi, attraverso il filtro poeticamente compartecipato di uno dei più importanti lirici del nostro Novecento.

Arianna Capirossi
In occasione del compleanno di Pier Paolo Pasolini, vorrei ricordare l'importanza cruciale della sua figura di intellettuale e della sua produzione artistica per la comprensione dell'evoluzione socio-culturale dell'Italia del Novecento. Pasolini dovrebbe essere il primo autore, e non l'ultimo, ad essere studiato a scuola (mentre tante volte non è nemmeno compreso nei programmi): i ragazzi avrebbero le idee più chiare sul presente che stanno vivendo. Non a caso, Pasolini è colui che mi ha convinto a dedicarmi allo studio della letteratura, da intendersi non solo come espressione artistica, ma anche come testimonianza storica e riflessione filosofica.

Roberta MesetrelliBerti
Amore e rabbia nelle sue parole, per una terra che "è stata" grande e che affoga nella corruzione: "Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti.."

Maria Borchert
Pasolini è un vero poeta polarizzante. La sua poesia è malinconica, riflessiva e, soprattutto, caratterizzata da una forte coscienza sociale. Prendo un brano della sua bellissima poesia “Premisse”: “Mi mancavano solo poche cose, le parole erano sigillate e riflettevano dov'erano C'era il sole. Brillavo lì senza alcun splendore, immobile. Vedevo il sole tramontare ancora una volta, senza passione. Non respiravo nemmeno, ardendo con fredda fierezza nella luce che sprofondava le persone intorno a me la tomba. Se volete conoscere meglio Pasolini e la sua meravigliosa poesia, vi consigliamo di leggere il libro “per Pasolini” del Professor Marco Marchi A cura della Casa Editrice Le Lettere - Firenze ISBN 978 88 6087 739 0

Giacomo Trinci
Il dire della poesia, in questa fase del percorso di Pasolini, è come scagliato nel dirupo della storia, nel magma di una realtà fangosa. Ma attenzione, in questa poesia 'Alla mia nazione' la gettata sintattica sprofonda la lingua attraverso l'ira e il furore in quel residuo di canto rovesciato tra due parole perdute: 'male-madre'; la sconnessione tra suono e senso, fra intelligenza e orecchio che ha caratterizzato l'etimo da cui è nato il canto civile del Pasolini delle 'Ceneri' e della 'Religione del mio tempo', e che ha caratterizzato la sua musica della sintassi, trova qui una sintesi fulminante nel distico finale di questa poesia, dove, appunto mare e madre, rovesciano la loro traccia melodica in uno sprofondo e un'apocalisse ghiacciata. L'ombra antica del canto è qui annegata nel furore ragionato e ivi spento.

Matteo Mazzone
La patria è da sempre stata utilizzata come analisi stereometrica della società, in primis, e della civiltà, in secundis. Il sentimento di Pasolini verso la nozione di nazione è notevolmente cambiato nel suo iter scrittorio: se agli inizi della sua sperimentazione poetica egli si lasciava trasportare dalla 'rosada' dei contadini friuliani, nuova élite anti-capitalistica a cui rivolgersi - espressione di una semiotica verginità e di una casto significante – progressivamente l'idea e l'ideale di nazione abitata da uomini puri in quanto creature etimologicamente innocenti – cioè non in grado di nuocere - si abbuia in conseguenza dello sviluppo neocapitalistico, conformistico e conformista: è quest'ultimo, un calderone, un guazzabuglio di benesseri effimeri, di gratuite e politicizzate spettacolarizzazioni borghesemente sconce e prepotentemente affacciatesi sull'Italia degli anni '60. La classe è il nemico, perché a lei manca la coscienza. La dominante e squallida categoria dei perbenisti tuttofare, degli indigenti del non-scandalo: la borghesia, insomma, sempre prona alla legge economica, al prodotto, campione del potere e verga della moralità, sallustianamente simulatrice e dissimulatrice. È l'imperversare di questo rivitalizzato ceto sociale a contraddire la purezza, il candore di quell'Italia contadina, basso-proletaria ormai passata, obliata, né più mai (ri)attuabile. A Pasolini non rimane che combattere, gettando il suo corpo nella lotta, tutte le forze negative del moralismo ipocrita nazionale, riflesso dell’incapacità critica e della faciloneria più ignorante. Lotta che, purtroppo, pagò con la vita.

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