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Anniversario Giovanni Pascoli

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Firenze, 6 aprile 2024 – Ricordando che il 6 aprile 1912 moriva a Bologna Giovanni Pascoli.

Pascoli: una pietra miliare della nostra storia letteraria e, insieme, un caposaldo della modernitàPasolini diceva che tutto il nostro Novecento migliore derivava da lui: da quello moralistico dei «vociani» a quello di cui la sua stessa poesia, a partire dagli anni Quaranta e ben prima della svolta rappresentata da un libro come Le ceneri di Gramsci, era stata rappresentante.

Certo è che al capitolo della lirica pascoliana dovrà essere ascritta una partecipazione di rilievo alle vicende del Simbolismo. Un Simbolismo particolare, quello di Giovanni Pascoli, tutto interiormente in ascolto e in larga misura inconsapevole, laddove quello del suo coevo compagno di strada Gabriele D’Annunzio si muoveva, tra estroversione ed esibizione a sfondo egotistico, negli spazi dell’aggiornamento su scala europea e della creazione intellettualmente nutrita di miti all’insegna dell’eroismo e del primato.

Partecipazioni divaricate, ma culturalmente efficienti e interattive, anche sul piano di una condivisa, ingente lezione linguistica svolta nei riguardi della poesia italiana del Novecento. Sta di fatto che in Pascoli i traumi di tipo familiare e sociale subiti e biograficamente certificabili inaugurano una sorta di grande ricongiungimento al reale e ai problematici destini dell’uomo che in quel reale si trova ad esistere. La poesia si fa modernamente mistero: mistero della vita captato ed inscenato dalle zone di provenienza più remote ed impervie dell’inconscio, dove il «fanciullino» prende forma e con il bagaglio delle sue resistenti qualità di meraviglia rivelatrice si afferma.

Con Pascoli il poeta cessa così di essere il pedagogo, il tribuno e il predicatore a sfondo sociale, per essere al contrario – davvero simbolisticamente, tra i confini della sua solitudine e oltre ogni deliberato programma aggiunto – figura di colui che cerca la verità di se stesso nell’universo. L’antieroica, minuta e quotidiana professione di debolezza di Pascoli e il senso di instabilità che dalla sua poesia esatta e vertiginosa promana si fanno ascolto del reale e insieme apertura al moderno.

Anche un testo fonosimbolicamente sensibile e strutturalmente tripartito per via di un interpretabile verso-singulto animalesco come L'assiuolo (da Myricae) ci immette esemplarmente in questi territori «regressivi»: territori disastrati e notturni, soggetti a mutilazioni, sinistri presagi e ineludibili risonanze di morte, umili ma oltremodo impegnativi. Pascoli si affida nella registrazione di ogni pur minuto accertamento alla propria memoria costellata di sventure e cose rimaste dolorosamente inesplicate, ma nel far questo redige un’attendibile storia del mondo. Una storia che continua, intimamente palpitante.

Marco Marchi

L'assiuolo

Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...

Giovanni Pascoli

(da Myricae)

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