Notizie di poesia

‘Notizie di poesia’. Aprile, il post del mese (con i vostri commenti)

Firenze, 30 aprile 2024 – E' con gioia che oggi festeggiamo Sergej Esenin, perché è lui che con Esenin e l'uomo nero si aggiudica, sia pure di strettissima misura, il titolo di post del mese.  Che belle le poesie di Esenin, e che belle le letture che di suoi testi ci ha lasciato Carmelo Bene! Lo accompagnano sul podio di questa nostra altri eccellenti autori, con un significativo mix di grande poesia italiana e internazionale: Pascoli, medaglia d'argento con  Anniversario Giovanni Pascoli, e, bronzo alla pari, sempre di strettissima misura, l'irlandese Seamus Heaney e il cileno Pablo Neruda, rispettivamente con La penna e la vanga. Séamus Heaney e L'amore secondo Neruda. Come al solito, niente di più articolato e armonico –  in nome della poesia e delle sue attestazioni passate al vaglio del vostro giudizio – si sarebbe potuto pretendere. E riconosciamo pure che la poesia e gli uomini attraverso i quali la poesia ci parla ci hanno fatto grande compagnia e ci hanno comunicato un'intima, profonda speranza in questo drammaticamente difficile tempo in cui viviamo.

Tra i numerosi e sempre centrati commenti dedicati ad Esenin scegliamo quelli di Antonella Bottari (che continua grazie all'affetto della sorella Angela a far parte dei nostri confronti quotidiani a cui tanto era affezionata), Maria Grazia Ferraris ed Elisabetta Biondi della Sdriscia. Eccoli, nell'ordine: "Siamo alla fine. E' l'addio di Esenin a se stesso prima ancora che a noi. C'è tutta la sua giovane vita concentrata in un centinaio di versi in un amamlgama di sensazioni e allucinazioni. E' la resa dei conti con l'immagine di sè, con lo specchio che lo perseguita e pone fine ad ogni inganno. Lo stesso "Uomo Nero" che a pie' di letto commissiono' a Mozart il Requiem? Forse. Ci sono momenti di lucida franchezza in questi ultimi versi nei quali il Nostro scava ossessivamente ossessionato ai margini della sua esistenza per raccontarla all'amico – se stesso- come in una visione beffarda e dolente;è l'ennesima intima persuasione che la sua vita , pur nella pienezza in cui l'ha vissuta, è stata uno spreco di lotta contro il suo più acerrimo nemico ( l'alter ego ) e i frantumi in cui poi cadrà ineluttablmente, come lo specchio, ne sono perfetta testimonianza. E' anche la prima volta che simili versi, così ricchi di immagini e turgidi di pathos approdino alla poesia con tale potenza e lirismo, pur nello sfaldamento intellettuale e ambientale, pur nella dissoluzione e nel vizio: " Sono malato, sono molto malato..." Lo scavo nelle proprie nevrotiche allucinazioni, nei sensi di colpa è il senso di una fine cercata con ossessione tra le sfrenate altalenanti passioni che hanno animato la sua breve esistenza. Eppure , quando tutto ebbe inizio, quando egli scopri di sè l'essenza, lo spirito del poeta, tutto sembrava condurlo in un'oasi di pace e di ricognizione paesaggistica degli amati luoghi come in un eterno caleidoscopio di immagini pittoriche che lo avvincevano.Tutta la sua scrittura precedente era forza immaginifica e tangibile dell'arte popolare e dell'epos. Ma la svolta, tragica, "l'uomo nero", gli riappare come un destino incombente e ineludibile e radica tenacemente, tuffandosi egli stesso, non alla fonte primigenia del verso, ma facendolo trasfigurare nel vizio e nell'oscenità di un fraseggiare non consono ad un poeta, nel senso stretto del termine. Domandarsi quali furono allora gli elementi o i fatti che indussero il Nostro a cambiar rotta, è nel mistero stesso della sua vita,.delle sue passioni, delle sue più intime e sregolate abitudini , nonostante egli abbia versificato anche sul "buono che c'è" comprendendo poi che ciò cui anelava non lo avrebbe mai raggiunto.Eccolo è questo, forse, Esenin, nel dualismo di una mente che si perde e si adombra. Come lo specchio nero, il suo più caro amico, se stesso."; "Esenin muore nel 1925: con il poema L’uomo nero, creato di getto nel novembre 1925, confessione lucida e disperata, elaborata in forma libera e sperimentale, ripercorre la sua tragica esperienza, il suo terribile viaggio nell’autodistruzione fino ad intravederne l’epilogo che poi sarà tracciato nel testamento poetico prima della fine. La sua opera poetica si giocò sul registro di due tempi storici diversi tra loro. Possedeva la melodia dell’infanzia contadina in un periodo che non abbisognava di melodia, ma volgeva al costruttivismo e al futurismo. Aveva creduto che la rivoluzione avrebbe comportato una vita migliore, e la sostenne, ma subito si disilluse. Fu la crisi di un campagnolo inurbato, un contadino divenuto figura pubblica, contaminato e corrotto dalla vita moderna dentro e fuori la Russia. Evase nel paradiso artificiale dell’alcool e terminò l’evasione col suicidio. Toccava con mano l’utopia in cui aveva creduto. La Rus’ di legno contadino era definitivamente morta. Nel ’26, Majakovskij , scrive difendendo l’amico dalle accuse retoriche dei poeti rivoluzionari che lo accusano di scarsa adesione ai motivi politici della lotta di classe: Voi ve ne siete andato, / come suol dirsi, / all’altro mondo. …Volate,/ fendendo le stelle,/ senza un acconto,/ senza libagioni. Sobrietà./ … in gola/ ho un groppo di pena, non un ghigno."; "Un delirio di morte sconvolto e sconvolgente: il poeta dipinge se stesso e la sua vita di eccessi osservandosi attraverso la lente deformante dell'alcol e del male di vivere. Esenin in questi versi riprende e rielabora con lucida potenza espressiva motivi preesistenti, rivificandoli, in un gioco di metafore sovrapposte, tra realtà e delirio: l'uomo nero è la Morte, ma anche il Male, l'anti-poesia, acido che corrode e decompone, è il poeta stesso e nello stesso tempo è l'antitesi di tutto ciò in cui crede. Visionario e concreto, potente, meraviglioso e disperato.".

Buon maggio a tutti, amici, con nuove poesie e nuovi poeti!

Marco Marchi

Esenin e l'uomo nero

VEDI I VIDEO Carmelo Bene legge "L'uomo nero" e altri versi di Esenin , Esenin in piazza , Il funerale del poeta (1925) , "Non ho rimpianti" , "Lettera alla madre"

Firenze, 18 aprile 2024

L'uomo nero

Amico mio, amico mio,
Sono molto molto malato.
Io stesso non so da dove mi venga questo male.
Se sia il vento che sibila
Sul campo vuoto e deserto,
Forse, come a settembre al boschetto,
È l’alcool che sgretola il cervello.

La mia testa sventola le orecchie,
Come fa un uccello con le ali.
La mia testa non è più capace
Di ciondolarsi sul collo.
Un uomo nero,
Nero, nero,
Un uomo nero
Si siede sul mio letto,
Un uomo nero
Non mi lascia dormire per tutta la notte.

L’uomo nero
Scorre il dito su un libro schifoso
E, con canto nasale sopra di me,
Come un monaco su un morto,
Mi legge la vita
Di un certo mascalzone e furfante,
Cacciando nell’anima angoscia e paura.
L’uomo nero
Nero, nero...

«Ascolta, ascolta, -
Mi farfuglia, -
Nel libro ci sono molti bellissimi
Pensieri e progetti.
Quest’uomo
Viveva nel paese
Dei più repellenti
Teppisti e ciarlatani.

In dicembre in quel paese
La neve è pura fino al demonio,
E le bufere mettono in moto
I più allegri filatoi.
Quell’uomo era un avventuriero,
Ma della marca migliore
La più alta.

Egli era elegante,
E per giunta poeta,
Anche se piccola,
Afferrava la sua forza,
E una certa donna,
Che aveva quarant’anni e passa,
Lui la chiamava bambina cattiva
E la sua amata».

«La felicità – diceva,–
È destrezza di mente e mani.
Tutte le anime maldestre
Sono note per la loro infelicità.
Non importa,
Se molti tormenti
Sono frutto di gesti
Tortuosi e menzogneri.

Nelle tempeste, nei temporali,
Nella gelida vita,
Nelle perdite gravi
E quando sei triste,
Apparire sorridente e semplice –
È l’arte più sublime del mondo».

«Uomo nero!
Non osare questo!
Tu non sei in servizio
Come un palombaro.
Che m’importa della vita
Di un poeta scandaloso.
Per favore, a qualcun altro
Leggi e racconta».

L’uomo nero
Mi guarda fisso.
E gli occhi si tingono
Di un vomito azzurro,
Quasi volesse dirmi,
Che io sono delinquente e ladro,
Che in modo svergognato e impudente
Ha derubato qualcuno.

............................

Amico mio, amico mio
Sono molto molto malato.
Io stesso, non so da dove mi venga questo male.
Forse è il vento che sibila
Sul campo vuoto e deserto,
Forse, come a settembre al boschetto,
È l’alcool che sgretola il cervello.

Notte di gelo...
La pace al bivio è silenziosa
Sto solo alla finestra,
Non aspetto né amico né ospite
Tutta la pianura è ricoperta
Di una calce friabile e molle,
E gli alberi, come cavalieri,
Sono a raduno nel nostro giardino.

Da qualche parte piange
Un uccello notturno malefico.
I cavalieri di legno
Seminano un rumore di zoccoli.
Ecco di nuovo questa cosa nera
Che siede sulla mia poltrona,
Solleva un po’ il suo cilindro
E incurante butta all’indietro le falde del pastrano.

«Ascolta, ascolta! –
Mi fa con voce sgradevole, guardandomi in faccia,
Ancora più vicino
Ancora più vicino mi si inchina. –
Non avevo mai visto che qualche
Delinquente
In modo così inutile e sciocco
Soffrire d’insonnia.

Ah, forse mi sono sbagliato!
Perché adesso c’è la luna.
Di che cosa ancora ha bisogno
Questo piccolo mondo mezzo addormentato?
Forse, con le sue grosse cosce
“Lei” verrà di nascosto,
E tu le leggerai
La tua fiacca lirica ormai sfiatata?

Ah, io amo i poeti!
Gente divertente.
In loro trovo sempre
Una storia famigliare al cuore,
Come quella di una studentessa piena di brufoli
E di un mostro dai lunghi capelli
Che le parla dei cosmi,
Tutto bramoso di desiderio sessuale.

Non so, non ricordo,
In un villaggio,
Forse, in quel di Kaluga,
O forse, in quel di Rjazan’,
Viveva un ragazzo
In una semplice famiglia contadina,
Con i capelli gialli,
Con gli occhi azzurri…

Ed ecco che divenne adulto,
E per giunta poeta,
Anche se piccola
Afferrava la sua forza,
E una certa donna,
Che aveva quarant’anni e passa
Lui la chiamava bambina cattiva,
E la sua amata».

«Uomo nero!
Tu sei un pessimo ospite.
Questa fama di te
Da molto tempo corre in giro».
Sono furibondo, fuori di me,
E vola il mio bastone
Giusto addirittura contro il suo muso,
alla radice del naso...

.............................

… La luna è morta,
Azzurreggia alla finestra l’alba.
Ah tu, notte!
Che m’hai combinato, notte?
Me ne sto in piedi qui col mio cilindro.
Non c’è nessuno con me.
Sono solo…
Con uno specchio in frantumi…

(traduzione di Bruno Carnevali)

ЧЕРНЫЙ ЧЕЛОВЕК

Друг мой, друг мой,
Я очень и очень болен.
Сам не знаю, откуда взялась эта боль
То ли ветер свистит
Над пустым и безлюдным полем,
То ль, как рощу в сентябрь,
Осыпает мозги алкоголь.

Как крыльями птица.
Ей на шее ноги
Маячить больше невмочь.
Черный человек,
Черный, черный,
Черный человек
На кровать ко мне садится,
Черный человек
Спать не дает мне всю ночь.

Черный человек
Водит пальцем по мерзкой книге
И, гнусавя надо мной,
Как над усопшим монах,
Читает мне жизнь
Какого-то прохвоста и забулдыги,
Нагоняя на душу тоску и страх.
Черный человек
Черный, черный...

"Слушай, слушай,-
Бормочет он мне,-
В книге много прекраснейших
Мыслей и планов.
Этот человек
Проживал в стране
Самых отвратительных
Громил и шарлатанов.

В декабре в той стране
Снег до дьявола чист,
И метели заводят
Веселые прялки.
Был человек тот авантюрист,
Но самой высокой
И лучшей марки.

Был он изящен,
К тому ж поэт,
Хоть с небольшой,
Но ухватистой силою,
И какую-то женщину,
Сорока с лишним лет,
Называл скверной девочкой
И своею милою".

"Счастье,- говорил он,-
Есть ловкость ума и рук.
Все неловкие души
За несчастных всегда известны.
Это ничего,
Что много мук
Приносят изломанные
И лживые жесты.

В грозы, в бури,
В житейскую стынь,
При тяжелых утратах
И когда тебе грустно,
Казаться улыбчивым и простым -
Самое высшее в мире искусство".

"Черный человек!
Ты не смеешь этого!
Ты ведь не на службе
Живешь водолазовой.
Что мне до жизни
Скандального поэта.
Пожалуйста, другим
Читай и рассказывай".

Черный человек
Глядит на меня в упор.
И глаза покрываются
Голубой блевотой.
Словно хочет сказать мне,
Что я жулик и вор,
Так бесстыдно и нагло
Обокравший кого-то.

………………………

Друг мой, друг мой,
Я очень и очень болен.
Сам не знаю, откуда взялась эта боль.
То ли ветер свистит
Над пустым и безлюдным полем,
То ль, как рощу в сентябрь,
Осыпает мозги алкоголь.

Ночь морозная...
Тих покой перекрестка.
Я один у окошка,
Ни гостя, ни друга не жду.
Вся равнина покрыта
Сыпучей и мягкой известкой,
И деревья, как всадники,
Съехались в нашем саду.

Где-то плачет
Ночная зловещая птица.
Деревянные всадники
Сеют копытливый стук.
Вот опять этот черный
На кресло мое садится,
Приподняв свой цилиндр
И откинув небрежно сюртук.

"Слушай, слушай!-
Хрипит он, смотря мне в лицо,
Сам все ближе
И ближе клонится.-
Я не видел, чтоб кто-нибудь
Из подлецов
Так ненужно и глупо
Страдал бессонницей.

Ах, положим, ошибся!
Ведь нынче луна.
Что же нужно еще
Напоенному дремой мирику?
Может, с толстыми ляжками
Тайно придет "она",
И ты будешь читать
Свою дохлую томную лирику?

Ах, люблю я поэтов!
Забавный народ.
В них всегда нахожу я
Историю, сердцу знакомую,
Как прыщавой курсистке
Длинноволосый урод
Говорит о мирах,
Половой истекая истомою.

Не знаю, не помню,
В одном селе,
Может, в Калуге,
А может, в Рязани,
Жил мальчик
В простой крестьянской семье,
Желтоволосый,
С голубыми глазами...

И вот стал он взрослым,
К тому ж поэт,
Хоть с небольшой,
Но ухватистой силою,
И какую-то женщину,
Сорока с лишним лет,
Называл скверной девочкой
И своею милою".

"Черный человек!
Ты прескверный гость.
Это слава давно
Про тебя разносится".
Я взбешен, разъярен,
И летит моя трость
Прямо к морде его,
В переносицу...

……………………………

...Месяц умер,
Синеет в окошко рассвет.
Ах ты, ночь!
Что ты, ночь, наковеркала?
Я в цилиндре стою.
Никого со мной нет.
Я один...
И - разбитое зеркало...

Sergej Esenin

(da Poesie e poemetti)

I VOSTRI COMMENTI

Angela per Antonella Bottari
Siamo alla fine
E' l'addio di Esenin a se stesso prima ancora che a noi.
C'è tutta la sua giovane vita concentrata in un centinaio di versi in un amamlgama di sensazioni e allucinazioni.
E' la resa dei conti con l'immagine di sè, con lo specchio che lo perseguita e pone fine ad ogni inganno.
Lo stesso "Uomo Nero" che a pie' di letto commissiono' a Mozart il Requiem? Forse.
Ci sono momenti di lucida franchezza in questi ultimi versi nei quali il Nostro scava ossessivamente ossessionato ai margini della sua esistenza per raccontarla all'amico – se stesso- come in una visione beffarda e dolente;è l'ennesima intima persuasione che la sua vita , pur nella pienezza in cui l'ha vissuta, è stata uno spreco di lotta contro il suo più acerrimo nemico ( l'alter ego ) e i frantumi in cui poi cadrà ineluttablmente, come lo specchio, ne sono perfetta testimonianza.
E' anche la prima volta che simili versi, così ricchi di immagini e turgidi di pathos approdino alla poesia con tale potenza e lirismo, pur nello sfaldamento intellettuale e ambientale, pur nella dissoluzione e nel vizio: " Sono malato, sono molto malato..."
Lo scavo nelle proprie nevrotiche allucinazioni, nei sensi di colpa è il senso di una fine cercata con ossessione tra le sfrenate altalenanti passioni che hanno animato la sua breve esistenza.
Eppure , quando tutto ebbe inizio, quando egli scopri di sè l'essenza, lo spirito del poeta, tutto sembrava condurlo in un'oasi di pace e di ricognizione paesaggistica degli amati luoghi come in un eterno caleidoscopio di immagini pittoriche che lo avvincevano.Tutta la sua scrittura precedente era forza immaginifica e tangibile dell'arte popolare e dell'epos..
Ma la svolta, tragica, "l'uomo nero", gli riappare come un destino incombente e ineludibile e radica tenacemente, tuffandosi egli stesso, non alla fonte primigenia del verso, ma facendolo trasfigurare nel vizio e nell'oscenità di un fraseggiare non consono ad un poeta, nel senso stretto del termine.
Domandarsi quali furono allora gli elementi o i fatti che indussero il Nostro a cambiar rotta, è nel mistero stesso della sua vita,.delle sue passioni, delle sue più intime e sregolate abitudini , nonostante egli abbia versificato anche sul "buono che c'è" comprendendo poi che ciò cui anelava non lo avrebbe mai raggiunto.
Eccolo è questo,forse, Esenin, nel dualismo di una mente che si perde e si adombra. Come lo specchio nero, il suo più caro amico, se stesso.

Antonietta Puri
Ancora una volta un uomo osserva se stesso anche se, lì per lì, il confronto tra le due figure appare schizofrenico, perché l’osservato non si identifica con il suo osservatore credendo, nel suo delirio etilico e nel corso di notti insonni, che la figura nera che lo perseguita sia altro da sé. Questa gli si manifesta come giudice spietato e beffardo e non fa sconti: gli conficca una lama affilata là dove è più vulnerabile, colpisce più e più volte e poi rigira il coltello nella piaga… Solo quando esasperato, apparentemente inconsapevole del perché di tanta persecuzione, l’uomo Esenin colpisce il suo aguzzino Esenin, in un lampo di lucidità si riconosce, come l’essere repellente descritto dall’ “altro” tra le schegge dello specchio infranto: sono la sua anima e il suo cuore ad essere andati in frantumi e non c’è più tempo per ricomporli. Prima o poi dobbiamo fare i conti con la nostra coscienza e a volte è impossibile sopravvivere alla vergogna, alla delusione e al fallimento. Amara, ma stupenda poesia...

Maria Grazia Ferraris
Esenin muore nel 1925: con il poema L’uomo nero, creato di getto nel novembre 1925, confessione lucida e disperata, elaborata in forma libera e sperimentale, ripercorre la sua tragica esperienza, il suo terribile viaggio nell’autodistruzione fino ad intravederne l’epilogo che poi sarà tracciato nel testamento poetico prima della fine. La sua opera poetica si giocò sul registro di due tempi storici diversi tra loro. Possedeva la melodia dell’infanzia contadina in un periodo che non abbisognava di melodia, ma volgeva al costruttivismo e al futurismo.
Aveva creduto che la rivoluzione avrebbe comportato una vita migliore, e la sostenne, ma subito si disilluse. Fu la crisi di un campagnolo inurbato, un contadino divenuto figura pubblica, contaminato e corrotto dalla vita moderna dentro e fuori la Russia. Evase nel paradiso artificiale dell’alcool e terminò l’evasione col suicidio. Toccava con mano l’utopia in cui aveva creduto. La Rus’ di legno contadino era definitivamente morta. Nel ’26, Majakovskij , scrive difendendo l’amico dalle accuse retoriche dei poeti rivoluzionari che lo accusano di scarsa adesione ai motivi politici della lotta di classe :
Voi ve ne siete andato, / come suol dirsi,/ all’altro mondo.
…Volate,/ fendendo le stelle,/ senza un acconto,/ senza libagioni.
Sobrietà./ … in gola/ ho un groppo di pena, non un ghigno.

Elisabetta Bindi della Sdriscia
Tra amore per la natura e disillusione, Esenin ci lascia questo testamento spirituale che ci dice il suo degrado di uomo, tra alcol e depressione, e la sua grandezza straordinaria di poeta. Versi indimenticabili.

Elisabetta Biondi della Sdriscia
Un delirio di morte sconvolto e sconvolgente: il poeta dipinge se stesso e la sua vita di eccessi osservandosi attraverso la lente deformante dell'alcol e del male di vivere. Esenin in questi versi riprende e rielabora con lucida potenza espressiva motivi preesistenti, rivificandoli, in un gioco di metafore sovrapposte, tra realtà e delirio: l'uomo nero è la Morte, ma anche il Male, l'anti-poesia, acido che corrode e decompone, è il poeta stesso e nello stesso tempo è l'antitesi di tutto ciò in cui crede. Visionario e concreto, potente, meraviglioso e disperato.

Marco Capecchi
Chi è l'uomo nero? La fine di ogni illusione, di ogni speranza
di riscatto. La consapevolezza di una vita spesa per una Rivoluzione che rinnega se stessa.L'intuizione della tragedia che ormai incombe sul Poeta che come ogni Poeta paga per la propria generosità,ingenuità, ma pure grandezza e profondità.
L'uomo nero è lo stalinismo che come ogni totalitarismo non sopporta la Poesia
riducendola a propaganda menzognera. Una guerra impari in cui il vincitore,
paradossalmente, è la vittima momentanea ovvero il Poeta che ancora possiamo
leggere con commozione, partecipazione e gratitudine.

Tristan 51
Grande Esenin, cantore della giovinezza, delle sue scoperte, dei suoi piaceri, delle sue promesse e delle sue smentite! Come si può non amare la poesia di Esenin?

Chiara Scidone
Questa poesia esprime a pieno tutto il dolore del poeta. Egli si sente inseguito e tormentato da uno spietato uomo nero che fa venire a galla tutti i suoi sensi di colpa e che lo prende in giro. In realtà questo uomo nero, non è nient'altro che se stesso. Lui stesso è la sua paura, la sua parte nera, parte che poi rimarrà con lui fino alla fine della sua vita. In effetti è vero, spesso noi stessi siamo la nostra più grande paura, ed Esenin, con questa poesia, ha saputo rappresentare la sua ( e a volte nostra) angoscia perfettamente.

Duccio Mugnai
Certo è una sensazione terribile di malevolo destino, che si addensa sulla vita di Esenin, affogato nell'alcool, ma soprattutto fuori da se stesso. Così si registra: "[...] Amico mio, amico mio / Sono molto molto malato.". Mi è sempre piaciuto il componimento "Confessioni di un teppista", ben musicato da Branduardi nella canzone intitolata Confessioni di un malandrino. Mi affascina e mi angoscia tutto ciò, perché lì sembra essere il nodo della questione. "Sopravvive in me l'anima di un vecchio mariuolo di campagna", " e tu, povero amico, vecchio cane, cieco ti han reso la vita e la vecchiaia. E ora vaghi nel cortile, inconsapevole delle porte dei granai". La città uccide la semplice anima contadina, la dimensione selvaggia viene trasfigurata nei peggiori incubi.

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