L’anima stanca. Camillo Sbarbaro
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Firenze, 7 novembre 2024 – Segnalando la recente pubblicazione di questo interessante carteggio: Camillo e Clelia Sbarbaro-Arrigo Bugiani, Lettere 1959-1975, a cura di Gloria Manghetti, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2023.
Dovendo idealmente allestire un'essenziale antologia della poesia italiana del Novecento, sia pure un'essenzialissima antologia ridotta a davvero numeratissime voci, io credo che il nome di Camillo Sbarbaro non potrebbe non rientrare nel progetto.
Una voce poetica singolarmente alta che ha affidato a poche opere e sostanzialmente a un libro scritto e riscritto per tutta la vita come "Pianissimo", apparso per la prima volta per le Edizioni della "Voce" nel 1914, la sua foscoliana possibilità di permanenza nel mondo e prima ancora la sua possibilità di definirsi ed esprimersi. Definirsi ed esprimersi a favore di tutti, "confessarsi" con le parole che non avremmo mai saputo dire, com'è appunto della vera poesia, e come si verifica esemplarmente in atto nel testo che proponiamo oggi all'attenzione dei lettori.
Un poeta ligure appartato, renitente ai protagonismi e mai deliberatamente in primo piano sulla scena letteraria (una celebre definizione firmata Eugenio Montale lo vuole un "estroso fanciullo"), ma senza il quale il Novecento mancherebbe di qualcosa: di qualcosa di autenticamente attendibile come voce rappresentativa di un tempo della nostra Storia.
Ricordando che il 31 ottobre scorso ricorreva l'anniversario della morte di Camillo Sbarbaro (Savona, 31 ottobre 1967).
Marco Marchi
Taci, anima stanca di godere
Taci, anima stanca di godere
e di soffrire (all’uno e all’altro vai
rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
giovinezza, non d’ira o di speranza,
e neppure di tedio.
Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d’una rassegnazione disperata.
Non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato…
Invece camminiamo,
camminiamo io e te come sonnambuli.
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto quello
che è, soltanto quel che è.
La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduto ha la voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande
deserto.
Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso.
Camillo Sbarbaro
(da Pianissimo)
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