Notizie di poesia

Due notti. Aspettando Natale con Mario Luzi (con una lettera e un bando di concorso)

VEDI I VIDEO "Dorme, nuovo nato al mondo" letta da Lorenzo Bastida, "La notte, i suoi strani affollamenti" , "Dalla torre" , Il trailer del documentario “In Toscana. Viaggio in versi con Mario Luzi” (2014 ) , "Nell'imminenza dei quarant'anni" letta da Mario Luzi

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Firenze, 23 dicembre 2025 – Segnalando che è disponibile, con scadenza 2 febbraio 2026, il bando del Premio "Firenze per Mario Luzi" 2026, rivolto agli studenti di tutta la Toscana e giunto adesso alla sua quindicesima edizione: leggilo qui.

Ti ascolto ancora, Mario, ti ascolto mentre tutto registri, mentre tutto interroghi e tutto ti interroghi, nel farsi in diretta di un tuo affilato «autoritratto» in solitudine, parole come il tuo respiro. «La poesia – hai scritto – respira un profondo bisogno di unità laddove la vita psichica e la vita organizzata degli uomini d’oggi è estremamente frammentaria. Ma quella sintesi potrà operarsi oggi nella realtà quando manca ogni seria premessa a concepire integralmente il mondo come realtà che ha principio e termine in se stessa? Oppure la poesia dovrà adattarsi a vivere in sparsi e bruti frammenti?».

Poi la tua poesia e l’alta riflessione che essa ha sempre portato con sé hanno distinto con sicurezza tra vivace, animato frammento e inerte, morto frantume. E tu stesso, quasi a commento di un’esperienza dubitante tutt’altro che arrestatasi e invece inquieta e proprio in questi termini operosa e creativa, hai affermato ad un certo momento: «Ciò che unicamente ci rassicura è la vita in sé, lo spandersi continuo della vita sul pianeta nell’universo».

La poesia e la storia, insomma, ciascuna con proprie forme di attestazione, di memoria, di indirizzo, destinate nonostante tutto ad incontrarsi e a scontrarsi, ad incrociarsi. L’episodicità del frammentario e del disgregato appare tuttavia, anche nelle selezioni d’autore veicolate da Autoritratto, relazionalmente ritrovata nella sua decisiva afferenza proprio mediante l’esercizio dell’arte, e ritrovata al centro di una creazione ininterrotta, incredibilmente stimolata anzi, nella sua ineludibile vocazione allargante e dantescamente inclusiva, all’annessione del particolare a vicende dell’unitario, a promozioni partecipative realizzabili attraverso il linguaggio.

Tutto questo tramite un immenso talento-risorsa come il tuo, un dono ricevuto che è stato e resta la pratica letteraria della poesia, e che al pari di qualsiasi evento vitale esistenzialmente sensibile e forse più di ogni altro riabilita, conferendo loro significato, i termini di un’«incognita dolorosa»: gli episodi sparsi, plurali, in apparenza dissociati, cosmicamente antagonistici ed umanamente contundenti, di un unico «dramma» e di un unico «enigma».

La tua poesia, Mario, ha incessantemente portato all’attenzione e ha esplorato quel «dramma», ha messo senza tregua alle strette quell’«enigma». Ma nel fare questo – senza tergiversazioni, facili vie di fuga o infingimenti, e al contrario con molta pazienza e molto scrupolo, molta passione e molto coraggio – la tua poesia ha raccontato la speranza del mondo: l’ha alimentata, l’ha accresciuta e l’ha permessa ad altri.

Così questa propizia occasione di ricordo è – come di regola con te accadeva – gioiosa: per tutti, e per tutti intrisa di quel sentimento di assoluta, rassicurante confidenza con cui – più volte te l’ho confessato e convintamene ribadito – ho sempre letto la tua poesia.

Sì, ho fatto di te il creatore di un nuovo umanesimo: un rinnovato umanesimo, grazie a te, fattosi accessibile e praticabile, concretamente sperimentabile, dinamico e mobilitante. Ed è questa, carissimo Mario, l’insperata fiducia (la gioia, appunto) che – anche in un mondo di «buio sangue» che continua ad assediarci e a preoccuparci – la tua poesia ci offre: uno stupore intimo, profondo e resistente, vivo nella forza d’amore da cui proviene e che oltre il tempo lo nutre.

Bastano per capirlo tre soli dei tuoi versi, un tuo minimo «autoritratto» anch’essi, una cifra in cui ogni contrasto si vanifica, ogni dubbio musicalmente si compone: «O anima del mondo / da tutto ferita, / da tutto risarcita».

Marco Marchi

(dal mio libro "Moderni e contemporanei. Letture di poeti e scrittori", Le Lettere 2017 )

Dorme , nuovo nato al mondo...

Dorme, nuovo nato al mondo,
impercettibilmente
respira il proprio sonno,
inala
in pari tempo
azzurro,
luce, spazi profondi,
profonde nerità
di cieli e di marine
e loro trasparenze
per il sole che subentra,
sfiora aperti
e occulti penetrali del vivente
quella massa,
quella ammassata copia.
È indigente lui e ripiena
la sua inopia
di lutto e d’ansia.
Che pena, che fatica
sciogliersi dal tempo
intemporale da cui viene
e inoltrarsi in questo,
presente, in questo luogo che lo tiene…
Il remoto nell’approssimarsi
scade, l’incognito
nel divenire noto
perde incanto, duole,
però non lo dismaga,
smaglia via via
di nuova meraviglia
il mondo tutto intorno
al suo giaciglio – e incombe,
ahi, un buio sopra di lui,
un’opacità,
eppure non vacilla.
Com’è tenero
e potente
quel doloroso artiglio…
ecco l’accoglie
l’universo in sé,
lo piglia lentamente,
lo trattiene nelle sue palme,
lo forma, lo trasforma,
lo circoscrive lui infinito
in un minimo sigillo.
E ora dove sono, sono forse
ad attenderlo
negli anni
le imprese che farà,
stanno in agguato
le disfatte
e le cadute…
Di chi è,
non è sua
la mente che le teme
e le spera,
le prefigura:
sono della tribù
il giudizio, la misura
o ha altre mire –
lo sa –
non è solo tra gli uomini
la vita
e la creazione
che in lui ex novo
ricomincia.

(da Dottrina dell’estremo principiante)

La notte, i suoi strani affollamenti...

La notte, i suoi strani affollamenti.
Figure umane
flebili, avvilite
dalla disattenzione degli umani,
mortificate dalla trascuranza,
sfiorate appena, appena rasentate
dal calore della vita quotidiana –
l’insonnia nel suo vagabondare
a sorpresa le ritrova,
l’incontro le rimuove
dai loro dormitori, svegliate
escono fuori dai ripari
d’opacità e timore
nel lucore d’una oscura reminiscenza…
quando? ci fu disordine, c’è errore.
Passo passo
deve il cammino
essere fatto ancora
a ritroso: con premura,
con umiltà di cuore
è da raccogliere
la minima, l’infima dovizia
che il tempo aveva in sé,
non profferita
e nemmeno concupita –
                         ma voleva
quell’èbulo
                   esser preso
da una mano più attenta ed amorevole
della nostra cupidigia…
C’era forse da vivere più vita
nel vivaio, da suggere
più linfa dall’ispida sterpaglia.
Cresce, frana
su di sé
la storia umana,
ne ingoia la polvere o il sentore
una memoria oscura,
fa sì

che non sia stata vana.
Ma rimorde la memoria,
la sua piaga non si sana:
la tortura di notte quello spregio
fatto alla vita, quell’offesa
all’amore non vissuti,
               eppure non perduti,
presenti anch’essi dove tutto è stato,
               tutto è parificato.

Mario Luzi

(da Poesie ultime e ritrovate)

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