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Penna e il paese della luce d’oro

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Firenze, 21 gennaio 2018 – Segnalando che domani ricorrerà l'anniversario della morte di Sandro Penna (Roma, 21 gennaio 1977).

Un verso di Penna elevabile a capsula interpretativa della sua produzione letteraria, esclama: “Sempre fanciulli nelle mie poesie!”, per poi concedere a chi scrive la possibilità di giustificarsi con disinvolta pacatezza, a nome e in nome dell'io: “Ma io non so parlare d’altre cose”. L'accento si sposta gradatamente, procedendo, sui registri dell’aereo calembour infantilmente risentito e lucidamente disarmato, perfino della battuta che taglia corto con ogni possibile replica e ogni possibile interlocutore: “Le altre cose son tutte noiose. / Io non posso cantarvi Opere Pie”.

A lettura del testo ultimata e ricomposta, a prevalere nel riconoscimento di riduzioni e impossibilità del campo poetabile non è né la spavalda contentezza di chi l’ha fatta franca, né l’angoscia di chi prima si indigna e poi cede all’autocommiserazione e alla tristezza: è il senso di “sospeso”, piuttosto, così tipico dei timbri penniani da far perfino immaginare stampati, anche quando non lo sono, quei puntini che spesso suggellano, lasciandoli in realtà apertissimi, tanti suoi componimenti.

Un effetto sapientemente preparato che Penna si adopera di provocare nella sensibilità del lettore mediante sfumature intonazionali e ambiguità metrico-espressive minime ma sempre folgoranti, pronte a "fare ambiente" in ognuna delle sue rastremate e suggestive scritture: a conferire loro la cifra di un'assoluta, radiosa riconoscibilità.

Marco Marchi

Era il paese della luce d’oro

Era il paese della luce d’oro.
La sera ogni persona, quasi in sogno
abbandonarsi pareva. E mi pareva
– la luce d’oro era finita – in sogno
di te cadere, mio confuso amore.

Sandro Penna

(da Confuso sogno, Garzanti 1980)

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