L’amore secondo Sulpicia
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Firenze, 17 dicembre 2024 – Direttamente dalla Rete: "Sulpicia era figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo; sua madre era una Valeria, e suo fratello era un uomo di grande cultura, attorno al quale si raccoglievano i maggiori letterati dell’epoca. Essendo favorita dalla possibilità di frequentare questo ambiente, oltre che evidentemente dotata di notevoli capacità poetiche, Sulpicia compose le uniche poesie d’amore scritte da una donna romana dell’età classica giunte sino a noi, anche se in modo fortunoso. Le sue opere infatti non sono state tramandate sotto il suo nome, ma sono state inserite nel corpus delle opere attribuite al poeta Tibullo. Sulpicia è vissuta all’epoca di Augusto, un’epoca in cui la condizione delle donne romane cambiò totalmente. (...) Furono questi gli anni dell’“emancipazione” durante i quali a Roma vi furono donne letterate come Sulpicia, donne che diventarono medici e, verso la fine della Repubblica, comparvero persino alcune donne avvocato nel Foro".
Ed è bene che Sulpicia abbia incontrato nel suo destino umano un contesto sociale così rinnovato e a lei favorevole: i suoi versi, come quelli dedicati a Cerinto che abbiamo scelto, sono davvero notevoli, degni di essere giunti fino a noi. Valga da ulteriore esempio questa breve ed intensa elegia, che è una vera e propria dichiarazione d’amore. "Luce mia, possa io non esser più / la tua ardente passione / come credo d’esser stata / in questi ultimi giorni se io, / in tutta la mia giovinezza, / ho mai commesso una sciocchezza, / di cui io possa confessare / di sentirmi più pentita, / quella di averti lasciato solo / la scorsa notte, / per volerti nascondere / il desiderio che ho di te".
Marco Marchi
A Cerinto
È giunto amore finalmente. Nasconderlo
sarebbe vergogna assai più grave che svelarlo.
Commossa dai miei versi, Venere lo portò sino me,
tra le mie braccia, compì la sua promessa. I miei peccati
li racconti chi si dirà non ebbe i suoi.
Io quasi non vorrei neppure scriverli:
prima di lui, temo li legga un altro.
Ma giova aver peccato. Mi disturba
atteggiare il mio volto alla virtù.
Si dirà che son degna di lui, e lui di me.
(traduzione di Eva Cantarella)
Tandem venit amor
Tandem venit amor, qualem texisse pudori
Quam nudasse alicui sit mihi fama magis.
Exorata meis illum Cytherea Camenis
Adtulit in nostrum deposuitque sinum.
Exsoluit promissa Venus: mea gaudia narret,
Dicetur siquis non habuisse sua.
Non ego signatis quicquam mandare tabellis,
Ne legat id nemo quam meus ante, velim.
Sed peccasse iuvat, voltus conponere famae
Taedet: cum digno digna fuisse ferar.
Sulpicia
(dal Corpus Tibullianum 3.13)
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