La ricerca della felicità
Che vuol dire “felicità”? Tante le vite spese tra gioco e speranza. I dati disponibili e le teorie sull’essere felici illustrate da Maurizio Schoepflin
Pochi anni fa il regista Gabriele Muccino ripropose in chiave filmica il tema de ‘La ricerca della felicità’. Un bel film, un mix tra volontarismo italico e sogno americano, che tuttavia lasciava non pochi nodi di amarezza sullo sfondo insieme a quel titolo paradigmatico. Ma che vuol dire “felicità”? Dovendo definirla si risponderebbe in modo intuitivo, non sistematico, ma la cronaca attuale, in particolare europea e occidentale, ci dice qualcosa di una tendenza che si è fatta strada, nonostante i gorghi delle guerre, le spirali finanziarie e i disastri naturali: la felicità come gioco e come appagamento periodico di piaceri i più diversi. L’incremento delle slot-machine è impressionante e dice molto di questa tendenza che caratterizza l’ “uomo ludens” a più livelli di censo, per cui mi realizzo quando mi diverto.
Due consigliere provinciali di Firenze, Sara Biagiotti e Alessandra Fiorentini, hanno raccolto e diffuso alcuni dati: un giro d'affari da 76 miliardi di euro l'anno, oltre ai 10 miliardi di euro che alimentano l'industria del racket e dell'usura, circa 31 milioni di giocatori, di cui un milione e mezzo quelli compulsivi, ossessionati dal bruciare denaro in scommesse di ogni genere, slot machine, videopoker, sfide online; tra questi il 20 per cento sono donne e metà di loro chiede aiuto a Sert e psicoterapeuti .
Anche il popolo dei giovanissimi cresce, attratti dalla rete "dove puntare è sempre più facile e sempre più fonte di guadagno con i suoi oltre 4 miliardi di euro racimolati nel 2011".
Sconcerta che il “gioco d’azzardo compulsivo”, riconosciuto anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità come una patologia, spesso non sia inserito nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, visto che oggi si stima che circa la metà di quel milione e mezzo di giocatori compulsivi (tra 700 e 800mila) si rivolga in cerca d'aiuto a Sert, ospedali che hanno allestito ambulatori ad hoc, associazioni e psicoterapeuti. Gli uffici del ministero guidato da Andrea Riccardi stanno studiando il problema con l'obiettivo di arrivare al divieto di pubblicità, come nel caso delle sigarette, o a una ferrea regolamentazione degli spot. Il fenomeno del gioco d'azzardo in alcuni casi sta assumendo i contorni di una vera e propria dipendenza psicologica.
Decliniamo i dati su una sola provincia: Firenze. Ebbene: ogni cittadino del territorio gioca, in media, ogni anno 888 euro in videopoker o slot machine digitali. La somma ammonta a un importo complessivo di 851 milioni di euro, pari al 2,96% del Pil.
Sono dati che raccontano vite spese tra gioco e speranza di felicità, qualcosa che si ripete.
Maurizio Schoepflin, filosofo, docente presso gli Istituti superiori di scienze religiose ‘Apollinare’ di Roma e ‘Beato Gregorio X’ di Arezzo, al quale si deve una grammatica del pensiero come ‘Cento grandi filosofi’ (Hobby & Work), ha composto un’antologia, edita da Città Nuova, ‘La felicità secondo i filosofi’, che inquadra il problema e parte dalla ‘Città di Dio’ di Sant’Agostino, depositaria di una preziosa informazione: Marco Terenzio Varrone, erudito vissuto alle soglie dell’era cristiana, aveva contato più di 250 dottrine filosofiche intorno alla felicità. Schoepflin propone di ricondurre a quattro grandi raggruppamenti le numerose teorie della felicità: le edoniste, accomunate dalla convinzione che la felicità vada ricercata nel piacere, “inteso come godimento sensibile che può essere sperimentato sia a livello fisico che psichico”; quelle del sentimento, “secondo le quali la felicità è il frutto di atteggiamenti disinteressati e altruistici che indirizzano gli uomini a dedicarsi al bene dell’Umanità intera e della società”; le razionaliste, per le quali la felicità coincide con la ragione o, comunque, “con una morale e una vita sottoposte al dominio della razionalità”; infine, la concezione cristiana della felicità, in cui “non mancano elementi riconducibili sia al mondo della ragione che a quello del sentimento, ma, in ultima analisi, è soltanto un deciso richiamo all’Assoluto e alla presenza di un ordine di realtà diverso e superiore rispetto a quello fisico e materiale, che, secondo la prospettiva cristiana, può fondare e giustificare in modo definitivo l’esistenza e il possesso della felicità”.
Con ulteriore sintesi: vi sono i sostenitori dell’appagamento totale, quindi quelli che sostengono sia possibile solo un appagamento parziale, e quelli che ritengono che “nell’uomo alberghi un desiderio di appagamento totale, il quale tuttavia non potrà mai essere completamente soddisfatto, dal momento che non esiste alcun oggetto capace di donare una totale soddisfazione”. Non pochi pensano in modo pessimistico sull’effettivo ottenimento di una vita felice.
A noi è rimasta in testa una bella definizione che ne dette il regista russo Andrej Tarkovskij, intervistato a Firenze: la felicità si incontra mentre si cammina verso qualcosa di più grande.
Michele Brancale