Il presepe, una storia che fa luce. Betori: “Un’identità aperta”
Quanti “presepi” in città. Ci vuole la cometa del Vangelo per distinguerli nel vissuto comune, per leggere i numeri e le situazioni come quelli che la Caritas ha reso noti nel suo prezioso rapporto sulla povertà. La visita pastorale che il cardinale si avvia a fare, nell’Anno della Fede e nell’anniversario del Concilio Vaticano II (1962-1965), consentirà di scendere nel profondo della geografia della città, confortato dalla semina del predecessore Giovanni Benelli e dalla recente esperienza del Sinodo dei vescovi. Ma perché a qualcuno i presepi natalizi danno fastidio? I presepi portano con sé il messaggio della storicità di Gesù, contestata con le accuse di mitologia o attraverso ideologie. L’arcivescovo Giuseppe Betori tiene a sottolineare come da parte del mondo islamico ed ebraico non ci sono mai stati problemi. “Tra le religioni – osserva – non trovo queste difficoltà che noto invece poste da certe culture che in nome di un falso pluralismo chiedono di retrocedere perché così si accetterebbero gli altri. Non credo di dovere essere meno me stesso, non si tratta di negare se stessi per rendersi accettabili gli uni agli altri”. Il cardinale porta ad esempio l’esperienza di don Momigli come espressione riuscita di intercultura e dialogo.
Insomma non fare il presepe nelle scuole non esprime rispetto verso i bambini musulmani “che anzi vogliono bene a Gesù e a sua madre Maria. Ma io mi domando se non si insegna ai piccoli chi sono Gesù e Maria come fanno a vedere gli Uffizi”. A Firenze attraverso la bellezza delle arti i cristiani hanno uno strumento di annuncio del Vangelo. In sintesi: l’identità non significa opposizione e bisogna intendersi sul significato di laicità. Il fumogeno nel presepe di Piazza Duomo? Espressivo “di scarsa intelligenza”.
Circa, d’altra parte, il presepe allestito da don Gianfranco Rolfi, parroco di San Felice in piazza, Betori spiega di sentirsi più vicino a quello tradizionale, giacchè “non mi ritrovo su rivisitazioni che rischiano di corrispondere più alla nostra sensibilità che all’evento in sé: Cristo che è nato in Palestina duemila anni fa”. Si va oltre il localismo, pur amando il particolare. Altro sono il “privatismo” e il culto della “provvisorietà”. La Chiesa è sempre universale, planetaria. Il cardinale ha rievocato su questo crinale le testimonianze portate al sinodo dalla Cambogia e dalla Norvegia.
Si chiede al cardinale un parere sui dati relativi alla celebrazione dei matrimoni religiosi, in vistoso calo al Centro Nord: “Il fare chiarezza sui numeri non ci fa impaurire. Sappiamo che da noi il 30 per cento delle persone frequenta la messa domenicale. Per quale motivo i matrimoni religiosi dovrebbero eccedere rispetto alla presenza alla liturgia? A me preoccupano più i non matrimoni”.
Temi diversi, che il cardinale ha esplorato nell’incontro con la stampa - donando a ciascuno il libro di Antonio Lovascio su Giovanni Benelli (ed. Sef) - mentre arriva il “Natale, motivo di speranza in questo momento di difficoltà in cui abbiamo bisogno di ritrovare la fiducia nel futuro”. Il 25 dicembre Betori sarà al pranzo della Comunità di Sant’Egidio, preparato in collaborazione con l’arcidiciocesi e l’Ucid, nella chiesa di Santo Stefano in Ponte Vecchio. Quest’anno la tavola sarà imbandita per 450 persone, dagli immigrati ai senza fissa dimora.
Michele Brancale