L'ora di Religione

La nostra Africa

Michelangelo Bartolo, medico “eurafricano”, racconta a Firenze le cronache di viaggi nel continente nero per impiantare e diffondere a partire dal Mozambico la cura Dream, puntualizzata e diffusa dalla Comunità di Sant’Egidio per salvare, con successo, i malati di Aids. L’appuntamento alle 16.30 di giovedì 30 gennaio nella Sala Pistelli di Palazzo Medici Riccardi (via Cavour 1-3)

 Il patriarca copto Abuna Paulos (1935-2012), intervistato ad Assisi, disse che l'Africa è come un satellite che si sta allontanando, andando alla deriva. L'Europa avrebbe dovuto recuperarlo.  In un'altra occasione, a Bucarest, sottolineò che la globalizzazione è accompagnata dalla marginalizzazione dei poveri. Dunque, tra le misure che proponeva per una sensibilizzazione che andasse in senso contrario, vi era quella dell'educazione alla pace come materia obbligatoria nelle scuole.

Possiamo domandarci: “Chi ci educa oggi a un'attenzione vera verso l'Africa?”

Ci viene da ricordare la lettura, a scuola, di poesie contro l'apartheid (Albert Lutuli); da adolescente la musica contro il razzismo che metteva in risalto le figure di Steve Biko e Nelson Mandela.

Anche in Italia fu scritta una bella canzone da Alberto Radius e Oscar Avogadro: 'L'Africa è lontana' (1985).

Crollato il muro di Berlino (1989), coniata l'espressione “l'Africa agli africani” come modo nobile del disimpegno, il continente nero è stato congedato dalle passioni corali e respinto nel cono d'ombra dei conflitti preventivi, col risultato che l'Africa – a motivo del disimpegno – viene percorsa da fondamentalismi e guerre etniche talvolta finite nel gorgo del genocidio (Ruanda).

Tutto potrebbe essere ricondotto alla categoria del postcolonialismo.

Uno scrittore, Ian Holding, ne ha parlato in termini realistici e crudi come “resistenza dei vecchi padroni e affermazione spesso crudele e soffocante della classe politica indigena”.

Kapuscinsky avrebbe detto che questi sono gli effetti della “politica delle corporation e delle grandi banche che arricchisce il 20 per cento del mondo e che consente che tutto il resto sprofondi nella miseria. E' la globalizzazione a senso unico, che unifica su scala planetaria l'elettronica, i mercati, i commerci, la finanza, ma non la democrazia, i diritti umani, i livelli di vita”. 

Nel 1999 Kapuscinsky era sul confine somalo-eritreo, in un campo profughi: “Ho visto esseri nudi, buttati per terra come sacchi vuoti, crepare di fame, malaria, tubercolosi. Bene, nello stesso giorno sono volato a Addis Abeba e da lì a Roma, dove mi hanno portato in piazza Navona. Era una serata pulita, color madreperla. I turisti ascoltavano musica, ballavano, bevevano vino dei castelli. Allora ho pianto, senza speranza. Lì, in mezzo alla gente”.

'La nostra Africa' di Michelangelo Bartolo parla invece della speranza che resiste e costruisce. Medico "eurafricano", racconta a Firenze le cronache dei suoi viaggi nel continente-madre per impiantare e diffondere a partire dal Mozambico la cura Dream, puntualizzata e diffusa dalla Comunità di Sant'Egidio per salvare, con successo, i malati di Aids. L'appuntamento, promosso da Sguardo e Sogno con la Provincia di Firenze e la Comunità di Sant'Egidio nell'ambito del Festival della Cooperazione, è alle 16.30 di giovedì 30 gennaio nella Sala Pistelli di Palazzo Medici Riccardi (Firenze, via Cavour 1-3). Intervengono oltre l'autore de 'La nostra Africa', edito da Gangemi, il Prof. Gianfranco Gensini, Paola Lucarini e Stefano Fusi, responsabile per la Provincia dei progetti di cooperazione.

Il titolo richiama 'La mia Africa' di Karen Blixen, quella a150 km sotto l'Equatore, dove la scrittrice danese e il marito impiantarono un'attività pioneristica di piantagione (fino al 1931). Al contrario di quel che si pensa il libro della Blixen non è un'opera sentimentale, ma espressione di un tardoromanticismo solidale che non assume i tratti della coralità. Di fatto, tuttavia, Karen Blixen ha a cuore l'istruzione degli indigeni e opera, fin che rimane in Africa, in quella direzione.

 'La nostra Africa' è frutto di una passione corale, quella della Comunità di Sant'Egidio per l'Africa, che dopo l'89 fa approdare alla pace, nel 1992, il Mozambico e, in controtendenza col congedo dall'Africa, percorre gli anni freddi della guerra preventiva non solo per aiutare alcuni Paesi (Guinea, Costa d'Avorio) dalla logica distruttiva dei conflitti, ma concepisce e diffonde la terapia 'Dream' (Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition), con farmaci antiretrovirali, contro la malattia dell'Aids, che insieme alla mine antiuomo, esprime una grande potenza distruttiva che impoverisce l'Africa di vita e di persone.

Tutti i programmi di cura sono realizzati in collaborazione con le autorità sanitarie locali. Il personale che lavora nei centri di cura è esclusivamente personale locale. Il programma Dream è oggi in Mozambico, Malawi, Tanzania, Kenya, Repubblica di Guinea, Guinea Bissau, Camerun, Congo RDC, Angola e Nigeria. 170.000 persone curate di cui 28.000 minori di 15 anni; 15.600 bambini nati sani da madre HIV positiva; 1.100.000 le persone che, in modo diverso, hanno usufruito del programma Dream, 1.400.000 visite mediche effettuate; 33 Centri Dream attivi; 20 laboratori di biologia molecolare; 18 corsi di formazione panafricani; 5.700 professionisti africani formati. L'autore del libro è tra gli ideatori e responsabili del programma. Il lavoro svolto dai membri della Comunità di Sant'Egidio in Africa è totalmente a titolo di volontariato. Bartolo racconta le cronache di viaggio in tre sezioni: Mozambico (2001-2006), Tanzania (2005-2010), Africania (2009-2011).

 

Non avrei mai potuto immaginare – scrive Bartolo - che un programma di cura che all’inizio aveva incontrato così tante difficoltà, nel giro di pochi anni si sarebbe diffuso in dieci Paesi dell’Africa Subsahariana e avrebbe garantito la cura a più di centomila pazienti. Se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto”.

Sono molti gli spunti che si possono sviluppare grazie alla lettura del libro, dall'impianto narrativo. Ne citiamo uno: lo sguardo dei bambini che Bartolo incontra all'inizio in Mozambico:

 

Decine i bambini, alcuni piccolissimi, minuscoli. Qualcuno si lamentava, aveva la febbre alta, ma per lo più erano fermi, immobili, ci guardavano, ci scrutavano. Colpiva la compostezza di questa piccola folla; aspettavano per ore il proprio turno di visita, senza alcun cenno di insofferenza. Abituato all’ambulatorio di angiologia del mio ospedale dove è usanza iniziare a reclamare per un’attesa superiore ai trenta minuti, avevo veramente l’impressione di trovarmi in un altro mondo: il terzo, lo chiamano...

Qui nessun adulto si mette a giocare con un bambino, nessuno perde tempo con un piccolo, qui si cresce molto in fretta. I bambini a quattro, cinque anni hanno già la responsabilità dei loro fratellini più piccoli. Li vedi camminare per strada da soli, si tengono per mano tra di loro. Il più grande aiuta e si preoccupa dei più piccoli. Sono piccoli bambini adulti. Gli unici che ci sorridevano erano quelli del centro nutrizionale. La scorsa estate avevano partecipato a una serie di feste organizzate da altri volontari e avevano così imparato a giocare, cantare, insomma a essere bambini”.

Relatori alla presentazione de 'La nostra Africa' sono Stefano Fusi, che si occupa dei progetti di cooperazione della Provincia di Firenze, e il Prof. Gianfranco Gensini. Letture a cura dell’autore e Paola Lucarini.

Per approfondimenti: www.dream.santegidio.org

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