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Black monday, trent’anni di turbolenza

“Quanto abbiamo perso” domandò Alan Greenspan, l’allora presidente della Banca centrale americana, al dipendente della Federal Reserve di Dallas che lo era andato a prelevare all’aeroporto. Alla fine degli anni Ottanta non c’era ancora il telefono sui velivoli e il numero uno della finanza mondiale era preoccupato per quella prima metà del mese in cui Wall Street aveva visto evaporare centinaia di miliardi di dollari di capitalizzazione nelle società del Dow Jones. “Sotto di cinque zero otto” fu la risposta che Greenspan non comprese subito nella sua drammaticità: il più conosciuto listino a stelle e strisce era crollato di 508 punti, e non del 5,08% come sarebbe stato più probabile immaginare. Quel baratro di 508 punti equivaleva ad una flessione del 22,5 per cento, la più ampia di sempre e maggiore anche di quella nel venerdì nero del 1929, che aveva aperto la grande depressione. Quel giorno resta nella storia come black monday, il 19 ottobre del 1987.

In questi trent’anni le giornate “nere” dei mercati finanziari mondiali si sono moltiplicate, nell’era della turbolenza per dirla con le parole dello stesso Greenspan. Dieci anni dopo saltò il Long Term Capital Management, un fondo speculativo basato sui modelli matematici dei premi Nobel Robert Merton e Myron Scholes: raccolse un capitale di circa 4 miliardi di dollari, arrivò con esposizioni a leva a 1.200 miliardi garantendo per qualche anno rendimenti del 40 per cento ai propri investitori. Il crac segnò la fine dell’hedge fund e forse anche del sogno della matematica come scienza esatta e infallibile applicata alla finanza. Intervenne la Fed per evitare, a fatica, ulteriori guai.

A cavallo del millennio la maxi-bolla speculativa delle dot-com, le società collegate all’esplosione di internet: molte società fallirono, Cisco perse l’86 per cento e Amazon.com passò rapidamente da 107 dollari per azione a sette, facendo precipitare nel panico i propri investitori. Oggi però sfiora i mille dollari.

L’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 portò con sé quasi tremila vittime e il contraccolpo finanziario pesantissimo: gli indici di Wall Street precipitarono del 30 per cento in una settimana. E poi il crac di Lehman Brothers, la banca dell’Olimpo mondiale che innescò con il suo fallimento nel settembre 2008 il collasso mondiale, la perdita di decine di milioni di posti di lavoro, la crisi del debito sovrano: oggi il listino italiano rimane all’incirca a metà dei livelli raggiunti dieci anni prima. Dall’inizio della crisi le principali banche centrali hanno immesso, secondo uno studio di Bofa Merrill Lynch, 14 mila 600 miliardi di dollari e proprio questa ondata di liquidità potrebbe ora contribuire ad alimentare nuove bolle speculative e dunque altri pericoli per la stabilità finanziaria dell’intero pianeta, assieme alla turbo-finanza dei sistemi robotizzati ad alta frequenza e al prepotente ritorno dell’azzardo morale nelle istituzioni finanziarie troppo grandi per fallire, i “too big to fail.” La battaglia tra chi chiede regole più severe e chi mal sopporta lacci e limitazioni è adesso più che mai aperta, dal tentativo di smantellamento della legge Dodd-Frank voluta dal presidente Usa Barack Obama per disciplinare la finanza statunitense alla regolamentazione “ossessiva” contestata alla Banca centrale europea.

“I mercati sono divenuti troppo vasti, complessi e rapidi per essere sottoposti ai meccanismi di vigilanza del secolo scorso” scrisse Greenspan agli albori della crisi, nel 2007. “La regolamentazione inibisce la libertà d’azione del mercato, e quella libertà di agire sollecitamente è ciò che riequilibra i mercati”.

Qualche anno dopo l’ex numero uno della Fed sembrò più cauto nella testimonianza alla commissione di inchiesta del governo americano sulle cause della crisi del 2007, ammettendo di aver agito anche su sollecitazione politica e lasciando più di un dubbio sull’autonomia della più potente istituzione finanziaria mondiale, condizionata pure lei da interessi di parte e accusata di non aver vigilato (tutto il mondo è paese) in modo adeguato.

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