Nel segno del Tau, con gli ultimi. Due poesie e un film di Turoldo
VEDI I VIDEO Da "Gli ultimi", film di Vito Pandolfi e David Maria Turoldo (1963) , Il film completo
Firenze, 24 settembre 2012 – Domani David Maria Turoldo sarà ricordato a Firenze assieme a Ernesto Balducci nel corso di un incontro di studio organizzato dalla Fondazione Il Fiore e dalla Fondazione Ernesto Balducci, nel ventennale della scomparsa dei due personaggi. Due uomini a confronto, come con efficace, intonata semplicità recita il titolo dell'iniziativa, che si terrà nella sede della Fondazione Il Fiore, Via di San Vito 7, a partire dalle ore 16. Vi parteciperanno Francesco Jacopozzi, Giorgio Luzzi, Carmelo Mezzasalma, Francesco Stella e chi scrive. Introduzione di Maria Giuseppina Caramella e Andrea Cecconi, letture di Maria Giuseppina Caramella e Massimo Tarducci. E' prevista pure la proiezione di un documentario dal titolo Turoldo-Balducci. Oltre l'ombra dei Profeti.
A proposito del film «Gli ultimi», che abbiamo voluto allegare a questo post per la rarità del documento (davvero interessante) e per la sua forte attinenza rispetto a temi e motivi della cultura e della poetica di Turoldo, riproduciamo – attingendo dalla rassegna stampa dell'epoca e facendo seguire alle liriche scelte da Nel segno del Tau – i significativi giudizi di due poeti, ambedue legati per ragioni biografiche ed affettive al Friuli in cui il film-inchiesta è ambientato: il giudizio di Giuseppe Ungaretti (poeta-soldato in quei luoghi e sul Carso durante la prima guerra mondiale) e quello di Pier Paolo Pasolini (il Friuli materno, il dialetto «di cà da l'aga», le sue rustiche e mitiche estati a Casarsa, le sue Poesie a Casarsa...).
Marco Marchi
È tempo, amico
Certo per me, amico, è tempo
di appendere la cetra
in contemplazione
e silenzio.
Il cielo è troppo alto
e vasto
perché risuoni di questi
solitari sospiri.
Tempo è di unire le voci,
di fonderle insieme
e lasciare che la grazia canti
e ci salvi la Bellezza.
Come un tempo cantavano le foreste
tra salmo e salmo
dai maestosi cori
e il brillio delle vetrate
e le absidi in fiamme.
E i fiumi battevano le mani
al Suo apparire dalle cupole
lungo i raggi obliqui della sera;
e angeli volavano sulle case
e per le campagne e i deserti
riprendevano a fiorire.
Oppure si udiva fra le pause
scricchiolare la luce nell'orto, quando
pareva che un usignolo cantasse
"Filii et Filiae", a Pasqua.
E non chiedere nulla
Ora invece la terra
si fa sempre più orrenda:
il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.
E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:
ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.
Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l'umile gente
abbia ancora chi l'ascolta,
e trovino udienza le preghiere.
E non chiedere nulla.
David Maria Turoldo
(da Nel segno del Tau, 1988)
Su «Gli ultimi»
Storie di bimbi hanno commosso tanti artisti. Esse nella letteratura delinearono molte figure indimenticabili. Due mi sono particolarmente care per motivi diversi, e che non è ora il momento di esporre: il "Moscardino" di Enrico Pea e "Poil de carotte" di Jules Renard. Il film dal titolo Gli ultimi, su soggetto di Padre Turoldo, attuato per la regia di Pandolfi, presenta un bimbo. Dirò con pochissime frasi la mia commozione: è forte quanto quella provata alla lettura di Poil de carotte e di Moscardino . La suggestione cinematografica è, d'altra parte, questa volta solo paragonabile a quella da me provata guardando L'uomo di Aran [Robert Flaherty] o Vita di O-Haru donna galante [Kenji Mizoguchi]. Sarà la solitudine stupenda del Friuli nella quale ho vissuto nei primi due anni della prima guerra, alternandone il soggiorno con il Carso, sarà l'arte del bimbo incredibilmente spontanea e vera, sarà il modo semplice e assoluto di mostrare i terribili simboli della morte e della fame, so che si tratta di un film indimenticabile, infinitamente più bello dei pochi che quest'anno ho ammirato, si tratta dell'unico film di quest'anno unicamente dettato da schietta e alta poesia.
Giuseppe Ungaretti
Una nostalgia in quanto peccato, e quindi dominata da un severo, quasi squallido senso di rinuncia, è l'ideologia di questo film. Esso vi è coerente dal principio alla fine, e finisce quindi col presentarsi come un sistema stilistico, chiuso e senza un cedimento o un compromesso. Non si sfugge né alla monotonia della nostalgia, né al grigiore della morale. Gli ultimi è un film monotono e grigio, ma carico di una esasperata coerenza col proprio assunto stilistico, e quindi profondamente poetico. Non per niente con c'è una inquadratura girata col sole: la luce è sempre quella dell'inverno con le nuvole alte e compatte, che, a loro modo, sono assolute come il sereno. E il paese è sempre immobile, in purissimo bianco e nero, e la campagna nuda, disegnata con una punta di ferro. La visione delle cose è sempre frontale, e, nel tempo stesso, ristretta, quasi che anche lo sguardo che un occhio, può, in fine, gettare liberamente al mondo, fosse dominato dall'obbligo morale alla piccolezza e alla rinuncia. È evidentemente il sentimento religioso di Padre Turoldo, che impone questa parola, e dice: "Se nostalgia per il mio paese e la mia infanzia ci deve essere, non deve però abbellirli: deve anzi ridurli all'estremo, e la sua dilatazione deve solo avvenire nel senso della profondità". Vito Pandolfi ha eseguito con assoluta severità estetica questo obbligo religioso quasi nevrotico. E tutti i personaggi tendono così ad assimilarsi ad esso: magri, stremati, grigi, malati, anonimi, sostenuti solo da un soffio di spiritualità quasi faziosa. Piano piano la suite della vita nel paesello pedemontano, con le sue case di sassi grigi e le sue strade bianche, nella luce accecante dell'aria di neve, diviene iterazione, litania: la serie degli episodi si fa ossessiva, e i significati della povera vicenda umana trapassano a una simbologia tanto più povera di ornamento quanto più ricca di un quasi fisico dolore.
Pier Paolo Pasolini
(giudizi desunti dai sito La Cineteca del Friuli)
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