Notizie di poesia

Il libro dell’esperienza di Rosaria Lo Russo

VEDI IL VIDEO Rosaria Lo Russo legge i suoi versi

Rosaria Lo Russo

Firenze, 17 ottobre 2013

Diario ovvero Il libro dell’esperienza ovvero Storia della mia vita (come un proemio)

Mille porte fa, quando non ero nata
ero una bambina meravigliosa:
boccoli biondi occhi verdeazzurri
bocca succosa. In collo al nonno
mi scambiavano per bambola,

è finta, gli dicevano, ed ero bella
grassa, una palla di burro mangiona
e con una parlantina sorprendente.
Nelle scene di mal di pancia isterici
molto melodrammatica, un’attrice nata.

Le me che siamo diventate poi
cominciano proprio negando la fame,
col consuntivo spietato di un corpo
troppo simbolico per stare
tra sé e sé in santa pace.

Polverizzarmi le ossa
spargere le ceneri di me
sul proprio capo, ridursi
così piccina e fragile da
essere per sempre una figlia

di papà, tenera e delicata
come luce in eccesso, con nessun
altra, nessun’altra che me, nessun
altro, nessun’altra che me.
Negare l’amore e ridere di lei,

sì, sì, ridere di lei a crepapelle
morire dal pizzicorino, strizzare
le ascelle, piangere dal ridere
disperatamente. Mamma, mormora
la bambina, piena di pianto agli occhi.

Non so se ti ricordi profumi e balocchi:
lei era i profumi e uscivano la sera
e io restavo coi balocchi rotti
a mangiarmi le unghie dei piedi.
Il Bimbìo Rosso e l’Orso Pillo

dormivano sodo con me. Poi
ebbi per alter ego la gatta Trilla,
femmina al posto mio le facevo
partorire molti gattini e li baciavo tanto
ma tanto, dormivano sodo con me.

Fin qui tutto normale, procedeva
tutto a meraviglia. Negata per gli sport
ma brava in italiano, portavo normalmente
il nome, a Firenze terrone, che mi avevano dato.
Negli anni del liceo, com’è ovvio, venni

meno. Venni meno al mio ruolo di quattr’
occhi kilt e calzettoni bianchi. Divenni
femminista comunista ascoltavo el pueblo
unido. Né carne né pesce soltanto
piccavo e non andavo più a trovare

mio nonno, che mi morì di fronte
mangiando una pera cotta come atto
d’accusa. Diventare qualcosa, qualcosa
agli occhi del mondo, qualcosa di grande e grosso
come la testa. Non andavo alle feste,

ma volevo il ragazzo. Mi innamorai di una testa
di cazzo, per di più fascio, un disastro.
E perché mi lasci? Non avere più fame,
non sentire più i sapori, gli odori,
stare solo a guardare. Ridursi all’essenza

di una santa giovanna pura e perfetta.
Quaranta chili di perfetta efficienza.
Mangiavo i libri, mangiavo poesia.
In bocca solo voce: viva viva la santa
anoressia. Intanto coi ragazzi ci giocavo:
tutto sotto controllo, sesso a tappeto.
Coazione a ripetere, le gesta di mia cugina.
I suoi seni pesanti i suoi piccoli fianchi: amavo
lei e lei sola, per interposta persona. Poi furono
i franceschi e i franceschielli, i miei psico-

analisti. Avrei potuto comprarci una ferrari
con quanto li ho pagati. Ho amato a pagamento,
mi han vietato assolutamente di concepire
la gratuità degli affetti. Finché non è arrivato quello
che disse bomba libera tutti, toccando-

mi nel punto esatto della fame. Madonna che
anni bui, anni sdraiati in un vissutissimo
suicidio. Uscii da Auschwitz finalmente
ma ormai con il metabolismo incasinato.
Disordini ormonali son stati il prezzo

della conquista della femminilità,
bene supremo! Imparai a diventare
un’eterosessuale, ma senza rinunciare
ad essere picchiata: picchia la moglie,
lei sa perché, non è la vulgata?

Ma quale moglie? Non ce l’ho proprio fatta,
vergine da sposa, in menopausa e in menarca:
una minorata coerente. Miracolosamente,
però Teodora è nata anche se da una ragazza
in croce. Il mio corpo in affitto alla gestazione.

Poi furon gli anni loschi degli amanti
sbagliati. Perché non ero una colette, non ero
modernista. Accompagnavo un’orfana
in cerca di accoglienza. Massacri e commozioni,
quasi morivo di consunzione come gaspara.

Mi salvai perché sono razionale e prudente
e perché l’uomo-con-un-braccio-solo aveva lavorato bene.
Però mi dibattevo ancora, infantilmente,
fra il tutto e il niente, tradendo di continuo
i miei lineamenti e la mia gente.

Allora papà e la Giulia mi regalarono due poppe!
Insomma un colpo al cerchio e uno alla botte.
Me la son vista brutta, ma ce l’ho fatta
a diventare una di loro, una che fa
le faccende di casa e mille altre faccende.

Una donnina tridimensionale, insomma.
Una che non s’innamora più ogni giorno.
Allergica alla vita in forma latticina, certo
ma oggi va di moda, quindi pazienza.
Una che finalmente straborda dal suo nome.

Una poppona paziente anche con me, insomma.
Una luce artificiale. La buonanotte di un blando
antidepressivo. Una catena di sant’antonio in espansione.
Il risultato di una conversazione. E soprattutto,
oggi, liberamente, senza radici se non aeree.

Rosaria Lo Russo 

(da Io e Anne, Edizioni d'If 2010)

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