Notizie di poesia

Compleanno Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922). ‘La Guinea’ e altri versi

VEDI VIDEO  Versi da "La Guinea" letti dall'autore  , Da “La nuova gioventù": versi in dialetto friulano antichi ed estremi a confronto

Firenze, 5 marzo 2014 –  All'alba degli anni Sessanta, il proposito pasoliniano di affiancare al lavoro letterario quello per il cinema (conferma di poesia e saggistica, in particolare, e sostituzione del romanzo con il film) provocò negli estimatori di quell'ingegno preoccupazione e curiosità. Si giunse a temere, specie per gli immancabili contagiati, l’abbandono della Parola scritta progressiva a favore dell'immagine che l'aveva preceduta sulle pareti delle caverne, la rinuncia, insomma, allo strumento privilegiato dell'interpretazione del mondo, vero alambicco dell'intelligenza creativa. Ma si sapeva anche che la qualità della cultura di Pier Paolo Pasolini implicava di per sé gli esperimenti, e proprio da questa impedente mobilità di sensitivo erano derivati comunque, nel corso degli anni, risultati. L'interrogativo si mitigò in puntini di sospensione meno allarmati, sia pure disposti a trasformarsi in punto fermo, profetico e risentito.

E quanto in effetti è accaduto alla successiva carriera letteraria di Pasolini, per una serie di ragioni che ovviamente trascendono la colpa o la sintomatologia di quel tradimento. C’è del vero, sono convinto, nella complessa coincidenza preferenziale della stagione pasoliniana con il decennio delle Ceneri di Gramsci e dei romanzi romani, come pure nel diagramma che di là si evolve, ormai da manuale scolastico, per assimilazione o confuslone di due esaurimenti storici. La neoavanguardia per suo conto ha provveduto a sufficienza, in vita e in morte dell'autore, a spillettare Ia sua figura di presunto, liquidabile decadente, ultimo esemplare tardoromantico dell'equivoco miscuglio vita-opera.

Costituzionalmente tetragono alle eterodirezioni previste da Adorno, il modello intellettuale di Pasolini si è conservato fino in fondo 'funzionario' solo in senso personalissimo col credere servizio alle esigenze della collettività la testimomanza dello scandalo di un'anima d'eccezione, che si sacrifica in un desiderio d'invariance eluso appena dai suoi progressivi immostruosimenti (l’indicazione è ottocentesca e proviene, com'è noto, da Rimbaud). Questo significa soltanto che Pasolini ha potuto disporre di un potenziale enorme di risorse nell'affermare chsperatamente, in settori via via allargati, la sua presenza di poeta in un tempo che non è il suo. Tra eccessi, matte amministrazioni, frettolosità e aniure, l’ultimo Pasolini ha anche rotrovato momenti di grazia all’altezza degli antcche, realtive pacificazioni che non lo rendono liquidabile tout court sotto il segno di una sterile sopravvivenza.

Non parliamo delle sorprese riservate da un libro all’epoca della sua pubblicazione poco piaciuto come Trasumanar e organizzar, degli esiti volontaristicamente programmatici e dimostrativi e invece ambiguamente inappellabili della Nuova gioventù. Descrizioni di descrizioni, del 1979, è senza dubbio uno dei più bei libri di saggistica letteraria del Novecento. La riflessione critica (la descrizione), pur nella sua primaria fattualità operativa, risulta qui costantemente metaletteraria.

E si pensi anche a Petrolio, e soprattutto alla conclusiva Lettera ad Alberto Moravia, laddove Pasolini teorizza la possibilità di qualcosa che non sia rievocazione del romanzo, qualcosa di già conseguito attraverso una lingua che è quella usata «per la saggistica, per certi articoli giornalistici, per le recensioni, per le lettere private o anche per la poesia». Obiettivo si profila la costituzione di una sorta di metaromanzo filologico rispetto al quale La Divina Mimesisi non meno di Descrizioni di descrizioni rappresentano «precedenti»: progetti balenati, tentativi esperiti, punti di riferimento testualmente efficienti fino alla derivazione contenutistica, all’interscambio cartaceo di fonti e «voci» avvertite necessarie ai fini del progetto.

Non un romanzo, e nemmeno la rievocazione del romanzo perduto, ma «qualcosa di scritto» parlando al lettore «in quanto io stesso, in carne e ossa». «Non ho più voglia di giuocare (davvero, fino in fondo, cioè applicandomi con la più totale serietà); e per questo mi sono accontentato di narrare come ho narrato. Ed ecco il consiglio che ti chiedo: ciò che ho scritto basta a dire dignitosamente e poeticamente quello che volevo dire? Oppure sarebbe proprio necessario che io riscrivessi tutto su un altro registro, creando l’illusione meravigliosa di una storia che si svolge per conto proprio, in un tempo che, per ogni lettore, è il tempo della vita vissuta e restata intatta alle spalle, rivelando come vere realtà quelle cose che erano sembrate semplicemente naturali?».

Romanzo, saggio, poesia (un «poema», «una specie di poema»)... «L’impulso più profondo – lo ha notata giustamente Aurelio Roncaglia – non è di tipo oggettivo-narrativo, bensì d’intima ricerca, dunque inclinato a un istintivo lirismo»: fino ai «momenti basilari del poema» che investono per via misterico-metamorfica privatissima la disponibilità al transessuale del personaggio protagonista. Persino l’idea di «fare una forma» appare alla fine contraddetta, sentita fondamentalmente come «oggetto», intralcio alle esigenze sempre più complesse e incontenibili dell’io: quell’io che – pur interessato fino all’ultimo al noi, ad una rappresentatività allargata di una storia basata su analogie – parla «al lettore in quanto io stesso, in carne e ossa», lasciando alla realtà di tragici fatti occorsi e non a crocifissioni pur sempre immaginate (dalle soluzioni filmiche della Ricotta alle molte ricorrenze letterarie) l’extratestuale, irrevocabile compimento di un’opera e di una vicenda biografica.

Marco Marchi

P.S. Il poemetto La Guinea, tratto da Poesia in forma di rosa, è dedicato da Pasolini all'amico poeta Attilio Bertolucci: di qui i riferimenti a Casarola, dove Bertolucci visse per lunghi periodi, soprattutto d'estate, fino agli ultimi anni.

La lettura radiofonica d’autore offerta dal video allegato risale al 1962 (come del resto la prima pubblicazione del poemetto, avvenuta nella rivista parmense «Palatina») e presenta varianti rispetto al testo apparso due anni dopo in volume.

Marco Marchi

La Guinea

Alle volte è dentro di noi qualcosa
(che tu sai bene, perché è la poesia)
qualcosa di buio in cui si fa luminosa

la vita: un pianto interno, una nostalgia
gonfia di asciutte, pure lacrime.
Camminando per questa poverissima via

di Casarola, destinata al buio, agli acri
crepuscoli dei cristiani inverni,
ecco farsi, in quel pianto, sacri

i più comuni, i più inutili, i più inermi
aspetti della vita: quattro case
di pietra di montagna, con gli interni

neri di sterile miseria – una frase
sola sospesa nella triste aria,
secco odore di stalla, sulla base

del gelo mai estinto – e, onoraria,
timida, l’estate: l’estate, con i corpi
sublimi dei castagni, qui fitti, là rari,

disposti sulle chine – come storpi
o giganti – dalla sola Bellezza.

(…)

li ho visti, nel Kenia, quei colori
senza mezza tinta, senza ironia,

viola, verdi, verdazzurri, azzurri, ori,
ma non profusi, anzi, scarsi, avari,
accesi qua e là, tra vuoti e odori

inesplicabili, sopra polveri d’alveari
roventi… Il viola è una piccola sottana,
il verde è una striscia sui dorsali

neri d’una vecchia, il verdazzurro una strana
forma di frutto, sopra una cassetta,
l’azzurro, qualche foglia di savana,

intrecciata, l’oro una maglietta
di un ragazzo nero dal grembo potente.
Altro colpo di pollice ha la Bellezza:

modella altri zigomi, si risente
in altre fronti, disegna altre nuche.
Ma la Bellezza è Bellezza, e non mente.

(...)

Non è il dovere che mi trattiene a cercare
un mondo che fu nostro nella classica

forza dell'elegia! nell'allusione a un fatale
essere uomini in proporzioni umane!

(…)

Ma qui a Casarola splende un sole
che morendo ritira la sua luce,
certa allusione ad un finito amore.

Dedica

Fontana di aga di un país no me.

A no è aga pí  fres-cia che tal me país.

Fontana di rustic amòur.

Fontana d’acqua del mio paese. / Non c’è acqua più fresca che nel mio paese. / Fontana di rustico amore.

....

Fontana di aga di un país no me.

A no è aga pí vecia che ta chel país.

Fontana di amòur par nissún.

Fontana d’acqua di un paese non mio. / Non c’è acqua più vecchia che in quel paese. / Fontana di amore per nessuno.

Pier Paolo Pasolini 

((da La Guinea, in Poesia in forma di rosa, 1964, e da La nuova gioventù, 1975)

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