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Le nuvole di Fernando Pessoa

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Firenze, 7 aprile 2014 – Dopo le nuvole della Canzone di Cesare Pavese...

Nuvole...

Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa.
Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino.
Nuvole… Corrono dall’imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all’avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più col movimento che con l’ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati.
Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l’intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente più il niente di me stesso.
Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
Nuvole… Continuano a passare,alcune così enormi ( poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione ) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell’aria alta contro il cielo stanco; altre sono ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento fredde.
Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né farò niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l’ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l’universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto.
Nuvole… Esse sono tutto,crolli dell’altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuisco: nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti.
Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l’oscurità, finzioni dell’intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.
Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto.

(traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi)

Nuvens...

Nuvens… Hoje tenho consciência do céu, pois há dias em que o não olho mas sinto, vivendo na cidade e não na natureza que a inclui.
Nuvens… São elas hoje a principal realidade, e preocupam-me como se o velar do céu fosse um dos grandes perigos do meu destino.
Nuvens… Passam da barra para o Castelo, de Ocidente para Oriente, num tumulto disperso e despido, branco às vezes, se vão esfarrapadas na vanguarda de não sei o quê; meio-negro outras, se, mais lentas, tardam em ser varridas pelo vento audível; negras de um branco sujo, se, como se quisessem ficar, enegrecem mais da vinda que da sombra o que as ruas abrem de falso espaço entre as linhas fechadoras da casaria.
Nuvens… Existo sem que o saiba e morrerei sem que o queira. Sou o intervalo entre o que sou e o que não sou, entre o que sonho e o que a vida fez de mim, a média abstrata e carnal entre coisas que não são nada, sendo eu nada também. Nuvens… Que desassossego se sinto, que desconforto se penso, que inutilidade se quero!
Nuvens… Estão passando sempre umas muito grandes, parecendo, porque as casas não deixam ver se são menos grandes que parecem, que vão a tomar todo o céu; outras de tamanho incerto, podendo ser duas juntas ou uma que se vai partir em duas, sem sentido no ar alto contra o céu fatigado; outras ainda, pequenas, parecendo brinquedos de poderosas coisas, bolas irregulares de um jogo absurdo, só para um lado, num grande isolamento, frias
Nuvens… Interrogo-me e desconheço-me. Nada tenho feito de útil nem farei de justificável. Tenho gasto a parte da vida que não perdi em interpretar confusamente coisa nenhuma, fazendo versos em prosa às sensações intransmissíveis com que torno meu o universo incógnito. Estou farto de mim, objetiva e subjetivamente. Estou farto de tudo, e do tudo de tudo. Nuvens… São tudo, desmanchamentos do alto, coisas hoje só elas reais entre a terra nula e o céu que não existe; farrapos indescritíveis do tédio que lhes imponho; névoa condensada em ameaças de cor ausente; algodões de rama sujos de um hospital sem paredes.
Nuvens… São como eu, uma passagem desfeita entre o céu e a terra, ao sabor de um impulso invisível, trovejando ou não trovejando, alegrando brancas ou escureando negras, ficções do intervalo e do descaminho, longe do ruído da terra e sem ter o silêncio do céu.
Nuvens… Continuam passando, continuam sempre passando, passarão sempre continuando, num enrolamento descontínuo de meadas baças, num alongamento difuso de falso céu desfeito.

Fernando Pessoa 

(da Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares)

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