Profondo Rosso

Enzo Ferrari e la F1 di oggi

In occasione della annunciata apertura della Casa Museo dedicata ad Enzo Ferrari, una università brasiliana ha sollecitato la mia opinione su un tema vecchio come il cucco e però affascinante: è ancora vero che la Formula Uno, come diceva il Drake di Maranello, può e deve contribuire allo sviluppo della industria automobilistica, ai progressi della produzione ‘di serie’?

Ho accettato di rispondere.

In fondo, il Brasile è un pezzo d’anima dell’automobilismo, inteso come Gran Premi: basti pensare alle conquiste iridate di personaggi come Emerson Fittipaldi, Nelson Piquet, Ayrton Senna. Certamente Rubens Barrichello e Felipe Massa non sono stati all’altezza di simili predecessori, ma hanno diritto al mio e vostro rispetto.

Ecco, allora, il mio testo. E che Dio salvi gli universitari ‘do Brazil’.

 

“Sinceramente, la questione mi mette in imbarazzo. Mi spiego. Credo di conoscere molto bene la storia e la leggenda di Enzo Ferrari. Nella sua epoca, la convinzione di un legame tra corse e prodotto era ampiamente giustificata. Anzi, Ferrari si spingeva al punto di condizionare il suo impegno nei Gran Premi (e non solo nei Gran Premi) alla certezza di poter trasferire sulla produzione di serie le sperimentazioni attuate a livello agonistico.

E’ rimasto famoso, tra i suoi devoti ammiratori, un brano autobiografico nel quale il Drake narrava di come, da una 24 Ore di Le Mans affrontata nelle fasi notturne in mezzo a un diluvio, fosse derivata una applicazione (App, nel linguaggio moderno alla Steve Jobs) fondamentale per migliorare la funzionalità dei tergicristalli sulle auto destinate ai clienti.

Oggi, l’avvocato Montezemolo si dichiara fedele a tale impostazione. Debbo dire con cognizione di causa, perché esiste un modello Ferrari (la ‘Enzo’, che avrà un erede entro fine 2012) sul quale viene massicciamente utilizzata la tecnologia delle Rosse da Gran Premio. E non dimentico la spettacolare ‘355’ degli anni Novanta. L’ho guidata, aveva il cambio elettroattuato identico alle monoposto da Gp del Cavallino.

Ma, tutto ciò premesso, sul tema sono abbastanza scettico.

Forse non per caso un po’ tutti i costruttori di automobili sono scappati dalla Formula Uno. Penso a Honda, Toyota, Bmw, Renault, Ford (che una decina di anni fa comprò la Stewart, per gareggiare con il marchio Jaguar). Forse non per caso, all’alba del 2012, resistono ai box solo due autentici ‘costruttori’ di auto di serie, la Ferrari e la Mercedes. Volendo, potremmo aggiungere la McLaren, che si è messa a realizzare supercar.

E’ anche vero, peraltro, che quando Enzo Ferrari sosteneva le sue teorie in F1, penso agli anni Sessanta e Settanta, costruttori ‘puri’ non ce n’erano, tanto che si diceva e si scriveva che le Rosse combattevano contro i…garagisti inglesi!

Tornando al presente, i miei dubbi meritano una rapida spiegazione.

Serve alla produzione di serie la esasperata aerodinamica che caratterizza i Gran Premi di oggi?

Mah.

Un investimento (enorme) in scarichi ‘soffiati’ può avere una ricaduta sulle auto che guidiamo io in Italia e voi a Rio de Janeiro?

Sono solo esempi, ma abbastanza eloquenti.

Forse, in controtendenza, cioè in linea con l’antico pensiero del Drake, c’è il ricorso al Kers. Io immagino che, tra vent’anni, tutte le macchine a quattro ruote saranno dotate di un sistema per il recupero dell’energia dissipata.

E qualcosa si potrebbe fare in tema di carburanti, se si avesse il coraggio, a livello agonistico, di favorire la ricerca di propellenti ‘verdi’. Ma non mi pare ci siano condizioni favorevoli.

Aggiungo che, senza industrie impegnate nel business della F1, con le sole eccezioni già citate di Ferrari e Mercedes, è più facile una evoluzione (anzi, involuzione) dei Gran Premi in senso spettacolar-commerciale piuttosto che una riabilitazione del logoro rapporto tra corse e prodotto.

Naturalmente, mi auguro di sbagliare.

Vi ringrazio per l’attenzione”.

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