Marco Pantani e la Ferrari di Schumi
Le ricorrenze dolorose sono un'arma a doppio taglio.
Ad esempio, oggi fanno otto anni senza Marco Pantani.
Non l'ho conosciuto personalmente. Lo adoravo come ciclista, per il suo modo di pedalare e per il coraggio con il quale aveva superato disavventure pazzesche.
E poi mi esaltava quel particolare 'anagrafico': veniva dal mare ed era irresistibile in montagna. Una apparente contraddizione, qualcosa che lo rendeva speciale. Un po' come il mio amico Alberto Tomba, il 'cittadino' che aveva riscritto la storia dello sci alpino.
E mi ricordo quella volta a Montreal.
Era il 1998. Michael Schumacher, un altro simbolo dell'epoca, era impegnato in un sofferto tentativo di rimonta nei confronti della McLaren di Hakkinen.
Eravamo in Canada. Il finlandese stava dominando il campionato. Se lo Zio non avesse piazzato la botta, lì sulla pista dedicata a Gilles Villeneuve, forse la speranza iridata si sarebbe dissolta.
Ma era anche il week end decisivo per la assegnazione del Giro d'Italia.
Mi colpì e mi rese felice una cosa: dal giovedì, all'interno del garage della Ferrari, sulle sponde del lago di Notre Dame, i meccanici di Maranello avevano attivato una specie di 'sala radio'. Non c'erano le immagini, perchè nessuna tv canadese trasmetteva le immagini in diretta del Giro. E le dirette web erano ancora una ipotesi remota.
La 'sala radio' serviva ai ragazzi di Schumi per ascoltare, come i nonni e i genitori di una volta, il racconto delle imprese di Pantani. Fu allora che dissi a me stesso: questo tizio è diventato uno come Coppi, come Bartali. Ha lo stesso potere di suggestione sulla gente semplice.
E Michelone, che è sempre stato un fan della bicicletta, ascoltava anche lui, quando non era in riunione con gli ingegneri o in pista al volante della Rossa.
Ci sono momenti, banali, che invece trasmettono un grande senso di partecipazione collettiva. Quasi di fratellanza.
Fu bellissima la nostra esplosione di gioia collettiva il sabato mattino canadese, quando la radio ci informò che Pantani, nella cronometro decisiva, aveva conservato la maglia rosa.
Uno dei meccanici di Maranello disse: adesso Michele deve completare la festa, vincendo il Gp domani.
E così fu, dopo una corsa memorabile.
Pantani e la Ferrari venivano dalle stesse terre. Anche dalle stesse passioni.
Un anno dopo, incontrai il Pirata nel camerino di Vasco Rossi, dopo un concerto del Comandante al Dall'Ara di Bologna.
Era appena stato travolto dalla ingiustizia di Madonna di Campiglio.
Vidi un uomo disperato, che non reagiva alle sollecitazioni allegre del Blasco e di un giovanissimo Valentino Rossi (sì, c'era anche lui, in quella stanza).
Rimasi malissimo, a cospetto della tristezza di un ragazzo che tante emozioni aveva suscitato e trasmesso. Ma certo non potevo immaginare quello che sarebbe accaduto poi.
Le ricorrenze dolorose sono un'arma a doppio taglio, sì.