Io, Bolt e tu che leggi
Ecco come racconto sui giornali di domani la grande notte di Bolt
E adesso, caro lettore, vorrei proprio dividerla con te, questa gigantesca emozione. Una emozione chiamata Usain Bolt. Ha vinto ancora lui. E’ ancora lui il re dei 100. Come quattro anni fa a Pechino. Giusto così, bello così. Perché prego sempre, credimi, il Dio dello sport: non venga mai nessuno a dire che l’idolo della Giamaica è un figlio della cultura del doping. Per favore, no.
Usain Bolt, dico a te che mi leggi, è un patrimonio non solo dello sport. Lo è, sul serio, della umanità intera, di noi tutti. Perché in un mondo dominato dalle ossessioni, dal denaro, dalle frenesie, ecco, in un mondo così Bolt ha riportato l’allegria, la sana follia, la voglia di stupire, di divertire, di esaltare.
Lo so, lo so. 9”63 non è il record del mondo, anche se è la seconda prestazione di tutti i tempi ed è il primato olimpico. Per capirci, nel2008 inCina questo eroe della modernità felice era stato più lento. Soltanto a Berlino, nel 2009, Usain fu più rapido.
Bolt, Bolt, Bolt. Dovevi essere allo stadio con me, tu che leggi, nella notte della magia e del miracolo. Un miracolo, sì: perché Bolt veniva da una stagione complicata, era stato battuto, il dubbio si era insinuato sotto la sua corazza. Ma ci sono circostanze che esaltano il fuoriclasse, lo rianimano, lo ridestano.
L’Olimpiade è la circostanza estrema e suprema. Bolt, il re minacciato, sapeva di avere in casa l’insidia più grave. Blake, il giovane connazionale. Il detentore del titolo iridato. L’irriverente avversario che si candidava alla rumorosa successione.
Derby giamaicano doveva essere e derby giamaicano è stato. Solo che il Più Grande, il Muhammad Alì dei 100 (prima della semifinale Bolt ha mimato proprio una scenetta di pugilato, li si è capito che era perfetto nella testa) non ha concesso all’usurpatore la minima occasione. Blake ha chiuso d’argento in 9’’75, Gatlin in 9’’79. Tutti i finalisti sotto i10”, a parte il povero Powell che si è rotto.
Dai blocchi, Usain è uscito come un missile. Apollo 11 al lancio. La Luna appena cento metri più in là. Dopo venti metri aveva la vittoria in tasca, perché nella progressione nessuno, nessuno, nessuno sarebbe stato in grado di risucchiarlo, rimontarlo, avvicinarlo.
Beh, è venuto giù lo stadio, quando Bolt ha tagliato il traguardo. Lui è la faccia di chi crede che il mondo non sia in mano a burocrati noiosi, a capufficio mediocri, a cialtroni che confondono l’autorità con l’arroganza. Bolt mi appartiene, ci appartiene. Io gli voglio bene. E lo ringrazio di esistere.