Salvate il soldato Alex
Non so quanti saranno d'accordo con quello che sento, a proposito della penosa vicenda del marciatore. Ma questa è la mia opinione, nel day after.
Il giorno dopo è sempre il peggiore. Alex Schwazer ha fatto scempio di se stesso e della sua storia, scegliendo la scorciatoia sporca per cercare di conservare il titolo olimpico. Merita, nel male e purtroppo, tutte le cose brutte che gli stanno precipitando addosso. Non sarà mai più un atleta. Sono dolorosamente giustificati, anche se forse infondati, i sospetti sulle imprese che aveva firmato: se si è dopato stavolta, pensa la gente, chi può credergli quando nega di aver barato in passato? E presto dovrà togliersi la divisa da Carabiniere, perché in Italia il doping è un reato penale e l’Arma su certe cose non scherza. Quanto al rapporto privato con Carolina Kostner, sono affari loro: ma una vicenda tanto pesante può avere conseguenze spiacevoli.
Detto tutto questo, viene il momento di fare una distinzione. Impopolare, magari. E però necessaria. L’atleta Schwazer è finito. Si è suicidato sull’altare di tentazioni malate. Ha immaginato di stipulare un patto con il diavolo senza scottarsi. Tipico atteggiamento di chi si scopre debole dopo essere stato fortissimo.
Ma poi c’è l’uomo. C’è il giovanotto che ancora non ha trent’anni. Ed è l’uomo Schwazer che invece deve essere aiutato. Lo scrivo sommessamente, combattendo con il senso di colpa: ricordiamoci di Marco Pantani e del suo calvario, sfociato in tragedia. Il Pirata di Cesenatico aveva molti torti, eppure è difficile resistere all’idea che siamo stati tanti, a qualunque livello, a non prestare ascolto alla sua disperazione.
Ecco. Il doping, nello sport come nella vita di ogni giorno, è una gran brutta cosa. Comprendere di essere stati ingannati genera, nello spettatore distratto e nel tifoso accanito, una sensazione di disgusto. Ma se il campione non merita perdona, l’uomo che al campione sta dentro non va abbandonato.
Salvate, salviamo il soldato Alex. Non ce ne pentiremo.