La vera lezione del Kubica rallista
Sto seguendo anch'io, con simpatia ed attenzione, le avventure nei rally di Robert Kubica.
Voglio bene alla persona e stimo il personaggio.
Il pilota lo vidi debuttare in F1. Ero lì quando ebbe uno spaventoso schianto a Montreal ed ero ancora lì, dodici mesi più tardi, quando a Montreal il polacco vinse con la Bmw.
Ero d'accordo con il progetto che prevedeva il suo sbarco in Ferrari, come richiesto espressamente da Alonso, che è un suo grande amico (tra parentesi: quelli che pensano che lo spagnolo perfido non voglia tra i piedi colleghi competitivi, dovrebbero spiegare a se stessi come mai il Male Assoluto delle Asturie spingesse per avere The Polish Guy a Maranello).
Poi le cose sono andate come dolorosamente sappiamo.
Io non sono un patito dei rally e fatico a valutare con competenza i risultati che Robert sta ottenendo nelle Azzorre.
In compenso, credo che questa sua avventura con macchine molto diverse dalla Formula Uno sia la semplice conferma di un elemento che a volte tendiamo, io per primo, a dimenticare.
I piloti, tutti i piloti, al netto di simpatie e di antipatie, sono la parte migliore della Formula Uno.
Non scordiamocelo, quando ci affanniamo a sostenere che Tizio è più bravo di Caio che è meno tosto di Sempronio.
La vera lezione di Kubica, secondo me, è proprio questa.