Perchè Suzuka è un posto speciale
Credo di aver raccontato spesso, in questa sede, ciò che Suzuka ha rappresentato, dal vivo, per una povera personcina come me medesimo.
Ci sono luoghi che incarnano a storia, che fanno la storia, che sono la storia.
Per l'automobilismo e per la F1 in particolare, il circuito giapponese è una sorta di teatro magico. Un palcoscenico incantato.
Non starò qui a ripetere le emozioni di quella domenica di tredici anni fa. Era il 2000 e un pilota tedesco annientava una maledizione pesata come un macigno su una intera generazione.
Oggi in Germania dicono, vedi sondaggi di Bild, che Vettel è molto più amato di Schumi.
Può darsi, nè mi interessa discutere le opinioni dei comterranei di Frau Merkel.
Ma o si capisce cosa realizzò Michael nel 2000, dopo un lustro di sofferenze personali con la Ferrari e per la Ferrari, oppure si può veramente scivolare nell'equivoco. Non è che un quarto titolo di Seb, magari matematicamente conquistato domenica a Suzuka, sia robetta: ma paragonarlo al lampo rosso dello zio di Kerpen, beh, no, è una sciocchezza, è la confusione tra cronaca e leggenda.
Ciò premesso, Suzuka è stata ed è molto altro.
E' la prima collisione tra Senna e Prost, nel 1989. Andai di notte sul luogo del contatto, la sera della domenica, per farmi un'idea su ragioni e torti. Non me la feci troppo precisa.
Suzuka è il bis feroce del 1990 e lì non c'era bisogno di indagine alcuna, eh.
Ancora: il 2003, Schumi che sorpassa Fangio sotto un cielo livido che sembrava divertirsi a scherzare con le emozioni, anche con le emozioni di un ragazzo che perse il titolo per due punti e quel ragazzo si chiamava Kimi Raikkonen.
Poi il 2006, un fumo bianco che esce da un motore che era indistruttibile, un groppo in gola e la consapevolezza che nella felicità di Fernando Alonso era contenuta anche la conclusione di una epopea, fu un po' come veder morire, simbolicamente, Toro Seduto in diretta.
Seppellite il mio cuore a Wounded Knee.
Cioè, a Suzuka.