Profondo Rosso

La mia preghiera per Schumi

Sono ore difficili.

Forse il silenzio di una preghiera potrebbe bastare.

Ho scritto spesso che di Michael Schumacher, facendo il giornalista, era impossibile diventare amico personale. Per sua rispettabilissima scelta.

In compenso, attraverso gli anni ho imparato a stimarlo.

Non mi riferisco all'immenso pilota: quello, credo lo abbiano ammirato anche i tifosi di altri drivers, persino i detrattori, gli antipatizzanti, eccetera.

No.

Io ho visto in Michelone, dal 1991 fino al 2012, il profeta di se stesso.

Nella sublimazione di un modello di esasperata professionalità.

Nel suo mestiere, era concentrato al mille per cento. Si coglieva, nella dedizione maniacale al lavoro da pilota, la felicità figlia della autorealizzazione. Sì, Michael, al volante, è stato la profezia di se stesso. E tu che lo seguivi per narrarne le tantissime vittorie e le poche sconfitte captavi il senso dell'uomo che aveva tradotto in realtà i sogni.

All'origine, ci sta l'amore per la competizione, per la sfida.

Schumi non ha mai accettato di perdere. Non sui kart, non in Formula Uno, non a calcetto, non a carte.

Una volta, credo fosse il 2005, ricevette un drappello di cronisti italiani sul motorhome Ferrari, a Monza.

Era l'anno in cui la Rossa faceva pena, causa gomme.

Ad un certo punto della conversazione collettiva gli chiesi: ma scusa, hai vinto 7 titoli, hai battuto ogni record, hai un conto in banca da Paperon de Paperoni, hai una famiglia e due figli! Perchè non ti godi tutto questo, uscendo per sempre dall'abitacolo?

Mi guardò con un lampo schifato negli occhi, lo stesso lampo che spero di rivedere presto.

Rispose: ma io non posso accettare una vita senza la competizione, mi mancherebbe l'aria.

Credo che questa frase dica tanto e spieghi tutto.

Un'altra volta ci sfiorammo sulla neve di Madonna di Campiglio.

Sugli sci.

Voleva vincere anche lì.

Forza, che dobbiamo tornarci assieme, a sciare.

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