Profondo Rosso

Perchè di Gilles ai box non resta niente

Come alcuni tra voi sapranno, il circuito di Montreal, teatro della prossima tappa del mondiale di Formula Un, è dedicato a Gilles Villeneuve.

Ancora oggi incontro persone che mi chiedono di lui. E magari mi domandano cosa sia rimasto, di quel canadese che ogni volta dava l'impressione di spostare più in là il concetto stesso di limite.

La mia risposta, malinconicamente, è secca: non resta niente.

Non per colpa di Gilles, intendiamoci.

Semplicemente, già nella sua epoca Villeneuve padre era l'ultimo dei mohicani. Portava nell'automobilismo, che si stava inevitabilmente robotizzando, l'idea pura dell'ardimento estremo. Se a un pilota si adattava l'etichetta di cavaliere del rischio, beh, lui era perfetto.

Mi raccontava e mi racconta Forghieri di quanto, ripresentatosi ai box dopo un incidente senza il retrotreno, Villeneuve semplicemente gli disse: vedi di rimandarmi in pista, in qualche modo, anzi, in qualsiasi modo.

C'è una anedottica strepitosa sul personaggio. La tragedia di Zolder ha fatto da moltiplicatore.

Ma, ripeto, Villeneuve era fuori moda già allora, anche se noi bipedi umilissimi lo adoravamo. E se parlate con chi frequentava l'ambiente all'epoca, vi sentite dire, anche da parte di chi tifava per lui, che un mondiale non lo avrebbe mai vinto, per la testa che aveva, per il modo libero di affrontare l'evento agonistico.

Villeneuve era rimasto un bambino dentro, i bambini se fanno una gara vogliono vincerla, non calcolano che ce ne sarà una dopo, non stilano classifiche e ipotesi.

Figuratevi se nel 2014 una simile logjca potrebbe essere tollerata da chi governa i box. Un Villeneuve 2.0 sarebbe espulso dal Circo in un amen, tra le ovazioni popolari.

Perchè è cambiata pure la gente, siamo cambiati anche noi (tranne il mio amico Mazgiorg, per fortuna).

E non credo sia un bene.

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