Ferrari, tu chiamale se vuoi illusioni
Regina per un giro.
Intendo la Ferrari.
Da Monza in poi, la Ferrari ha collezionato quattro pole. Non sono poche. Ma ha vinto soltanto nella notte di Singapore.
Mentre Verstappen raggiunge Prost a quota 51 successi (ha davanti ormai solo Vettel, Schumi ed Hamilton, grandissimo anche in Messico, così come Norris, quest’ultimo penalizzato dal disastro del sabato) la Rossa si accontenta ancora di piazzamenti. Terzo Leclerc, quarto Sainz. Basta? No.
Poi possiamo discutere sullo Start di Carletto e Carlitos, ma la sostanza non cambia.
Regina per un giro, sì. È una Ferrari incompiuta e imperfetta, al momento non se ne esce.
Il problema, dunque, può essere…misurato: mediamente un Gran Premio è lungo più di trecento chilometri e invece la Ferrari esaurisce la sua geometrica potenza sul giro secco.
Tu chiamale, se vuoi, illusioni.
Purtroppo è un guaio antico. Ne sento parlare, senza esagerare!, da una dozzina di anni. Un tempo si diceva che a Maranello la galleria del vento era obsoleta: venne ristrutturata e adeguata alle esigenze. Poi ci si lamentava della mancanza di un simulatore all’altezza dei gioielli utilizzati dalla Red Bull e della Mercedes: adesso all’interno del reparto corse è in funzione un impianto meravigliosamente moderno.
Ciò nonostante, la Rossa continua ad usurare gli pneumatici troppo in fretta. E poiché non è lecito dubitare della preparazione degli ingegneri del Cavallino, è evidente che siamo di fronte ad un deficit organizzativo e culturale. Nel senso che è indispensabile riuscire a valorizzare le competenze disponibili, andando a cercare altrove, se necessario, le risorse umane che servono.
So che sono discorsi complicati, per noi che (giustamente!) consideriamo la Formula Uno come un generatore di emozioni. Ma, appunto, l’automobilismo, nella sua espressione tecnologica, non è soltanto passione.
Un certo Enzo Ferrari lo aveva compreso benissimo. Conviene sperare che i suoi successori siano in possesso della medesima consapevolezza.