Lauda sulla Ferrari, cinquant’anni fa
Quello che segue probabilmente è un testo vietato ai minori di cinquant’anni. Nel senso che mi scuso subito con loro: non c’erano e sicuramente si annoierebbero leggendomi.
Ma che ci posso fare?
Ci sono attimi che ti cambiano per sempre. E non cambiano solo te.
Mezzo secolo fa, il 13 gennaio 1974, sulla pista del Gran Premio di Argentina iniziava l’epopea ferrarista di Niki Lauda.
Credo, con tutto il rispetto per chi è venuto dopo, che quell’evento abbia inciso in maniera non replicabile sulla storia del Cavallino.
Mi spiego.
È con la Rossa del l’austriaco (e di Montezemolo diesse e di Forghieri dt e di Regazzoni al volante) che la Ferrari del Drake diventa davvero un fenomeno nazionalpopolare. Non che prima non lo fosse: ma con Niki avviene il salto di qualità.
Ero un adolescente, ovviamente innamorato della più carina della classe, la biondina, che filava tutti meno che me (cit. Venditti).
E fu allora che mi accorsi che attraverso Lauda una generazione nuova stava appassionandosi ai Gran Premi. Contribuirono tante cose, per carità: ad esempio, latitando ancora la Rai in vaste zone d’Italia arrivava il segnale della Televisione Svizzera Italiana, TSI in codice. I ticinesi, le corse le trasmettevano tutte in diretta. Pure a colori, se avevi la fortuna di permetterti l’apparecchio.
E poi c’era lui.
Lauda.
Posso paragonarlo a pochissimi, come campione. Ma la sua popolarità non dipendeva soltanto dal talento.
Avevo un vicino di casa, una dozzina d’anni più vecchio di me, che lavorava come meccanico al reparto corse. Si chiamava Ermes Gambarelli. Andava a tutte le gare.
Fu lui, all’inizio del 1974, a raccontarmi che Niki era un fenomeno. Non solo di piede, mi spiegò. Di testa.
Eh, Ermes! È andato via anche lui troppo presto, ma aveva ragione. Mi aveva dato una dritta giusta.
Cosa sia stato Lauda per i ferraristi non starò a ripeterlo. Il dramma del Ring lo sublimò nell’immaginario collettivo: ero ai box a Fiorano, imberbe cronistello sedicenne, quando venne a dirci, sfigurato dalle ustioni, che sarebbe andato a correre a Monza. C’è da qualche parte una foto in cui si coglie uno stupore sbigottito sulla mia faccia, lì accanto a lui: non credevo a quanto stavo vedendo.
Niki è stato tutto questo e ancora molto altro. Il ritiro del diluvio nel Fuji non fu solo un episodio da dibattito. Fu l’esaltazione di una identità: perché quando Forghieri, per salvarne l’immagine, gli disse che si sarebbe preso lui la colpa, inventando un guasto tecnico, beh, Lauda rispose che no, grazie, lui si era fermato perché aveva paura di morire e tutti lo dovevano sapere.
E il resto, fino al suo ruolo in Mercedes passando per la McLaren divisa con Prost, appartiene al repertorio di una esistenza da romanzo.
Io ho fatto il mestiere che ho fatto perché Niki Lauda entrò nelle mie fantasie di ragazzino.
Un giorno glielo dissi pure.
Mi rispose ridendo: “Beh, anke io sbagliato, talvolta…”