Addio a Pietro Corradini, anima Ferrari
Stavo guardando, come tanti tra voi, i test di Sakhir. Stavo rimuginando sullo strapotere Red Bull, su Horner che dicono cambierà mestiere a fine mese, su Binotto che si è trovato un lavoro extra F1.
E poi mi è arrivata la notizia cui angosciosamente da mesi stavo cercando di prepararmi. Sapevo e ad ogni whatsapp di mio fratello Pietro Corradini, detto Piroun, dovevo fingere di ignorare la verità cruda e crudele.
Oh, lo so bene. È capitato a tanti di noi e capiterà ancora. Ma fa sempre male. E non pretendo di essere compreso nella malinconia che mi attraversa corpo e mente. Forse solo chi appartiene, dico tra i cloggari, alla mia terra può intuire il senso di vuoto. Penso a Mazgiorg, a Otelma, al mitico Roli. A chi respira la mia stessa aria, queste righe sembreranno quello che sono: un grido dell’anima.
Eh, sì. Se ne è andato un altro pezzo di storia della Ferrari. Pietro Corradini non era solo un meccanico: con la sua passione e con la sua cultura del motore, ha riempito 76 anni di una vita intensa sempre riconoscendosi nel mito del Cavallino. C’era lui accovacciato sul retro della macchina di Lauda quando Niki diventò campione del mondo nel 1975, in quella domenica di Monza. C’era lui quando Villeneuve a Imola nel 1982 gli confessò che non avrebbe mai potuto perdonare il tradimento di Pironi e Piroun si occupava della macchina del francese. E c’era ancora lui, con i suoi baffoni da messicano di frontiera, a spiegare a Michael Schumacher i segreti intimi di Maranello.
Pietro è stato per tutta la vita uno dei miei amici più cari. Ero giovanissimo quando per questo giornale iniziai a frequentare i box dei Gran Premi: lui mi prese sotto tutela e senza mai tradire la lealtà nei confronti della azienda mi fece da Virgilio, sebbene io non fossi Dante. Mi spiegava le cose, traducendo gli algoritmi della tecnologia in materia comprensibile per me e per chi mi avrebbe letto il giorno dopo. Proprio perché non era soltanto un operaio, non era semplicemente un meccanico: era carne ossa e sangue del mito Ferrari. Aveva conosciuto il Drake, era stimato dal figlio Piero, godeva della piena fiducia di Montezemolo: con il suo cacciavite aggiustava e sistemava la Leggenda, tanto che Mauro Forghieri, un altro Mito Rosso, lo considerava un ingegnere ad honorem.
Nella sua originalità, Pietro era l’erede di una sapienza collettiva. Veniva dalla terra, aveva un’anima contadina ed era figlio di una Dinastia di ferraristi non per lavoro ma per amore: gente come Borsari, Bellentani, Scaramelli, Gambarelli. Meccanici in apparenza, cognomi che a tanti diranno niente. ma tutti testimoni di una fede che resisterà a qualunque mutamento, a qualsiasi moda passeggera.
Era così impregnato di Ferrari, il mio amico Pietro, che Michael Mann, il regista hollywoodiano del film dedicato ad Enzo, volle proprio la sua faccia in primo piano nelle scene dedicate alla epopea della Mille Miglia. Per i cameo il cineasta scelse lui, me e Bottura, il miglior cuoco del mondo.
Non mi daranno l’Oscar, mi disse quando una malattia selvaggia si stava già imponendo sul suo corpo senza piegarne lo spirito, eppure sul set mica ho recitato, ero proprio io, un uomo di Ferrari, un uomo della Ferrari.
Ci siamo voluti bene più di quanto possa raccontare. E adesso me lo immagino Lassù, già intento a “scancherare”, come diceva lui, sulle macchine di Niki, di Gilles e di Didier.
L’ultima volta al telefono, pochi giorni fa, mi ha detto: Leo, stai tranquillo, vinceremo l’anno prossimo.
Ho finito le parole, davvero.
I funerali di Pietro Corradini saranno celebrati venerdì, alle 9,30 a Sassuolo, presso la chiesa di San Giovanni Neumann.