Senna, Prost, Netflix…
Premessa.
Mai confondere un film o una serie con la Storia vera. Il prodotto “spettacolare” ha esigenze tutte sue, inevitabili sono le concessioni alle leggi della divulgazione popolare. Sotto forma di invenzioni, licenze poetiche, spunti da fumetto.
Ciò chiarito, a me il Senna di Netflix è piaciuto.
Tanto.
Anzi tutto perché mi ha di nuovo fatto comprendere la fortuna che ho avuto nella mia vita.
La fortuna di incontrare persone speciali. Talvolta, se non quasi sempre!, destinate all’anonimato. Talora, invece, famose in ogni angolo della Terra.
Ovviamente Ayrton apparteneva alla seconda categoria.
Eravamo coetanei e dunque l’effetto nostalgia inesorabilmente penetra il mio giudizio di…utente.
E non ci posso fare niente.
Sommessamente credo che occuparmi di tante altre cose (e non solo di F1, sempre per mia fortuna) mi abbia, all’epoca, spinto a capire la grandezza persino letteraria di Senna. E di Prost.
La loro rivalità, non di rado feroce, aveva qualcosa di omerico. Io li seguivo sulle piste e spesso mi domandavo chi fosse Achille e chi Ettore.
Avevo la mia simpatia, pro brasiliano. Ma mai ho dubitato dei meriti del francese. Per inciso, credo che su Alain, dopo la tragedia di Imola, si sia abbattuta quella cosa che i Romani chiamavano Damnatio memoriae. Come mi disse una volta Gino Bartali, un altro Gigante del Novecento: inconsciamente, a me la gente non perdona di essere sopravvissuto all’Eroe. Nel suo caso, Fausto Coppi.
Aggiungo una cosa, che è uno spoiler per gli abbonati Netflix.
C’è una scena, nella serie, che mi ha fatto piangere come un vitello, da solo in una notte di rimembranze.
È ambientata a Imola, il sabato della tragedia di Ratzenberger. Stravolti, Senna e Prost, che è ormai un ex, si ritrovano da soli sugli spalti deserti dell’Autodromo. A parlare. Di tutto.
Ebbene, la scena è inventata, sempre per quelle esigenze di produzione cui accennavo all’inizio.
Ma al tempo stesso è autentica. E non sto cadendo in contraddizione.
Poco tempo prima, inizio 1994, Ayrton era stato invitato a Parigi a dare il calcio d’inizio della partita amichevole di calcio tra Francia e Brasile.
Andò. Ma fece anche un’altra cosa: telefonò ad Alain. Per invitarlo a cena dopo la partita. C’era già stata la stretta di mano di Adelaide, seguita da parole concilianti, in occasione dell’ultima gara del transalpino, autunno 1993.
Non bastava, però.
Andarono a cena e fu una serata memorabile per entrambi. Per Ettore e per Achille, che certo non avevano smesso di chiedersi chi, tra loro, fosse Ettore e chi Achille.
Per me pure fu un evento memorabile, perché quando anni e anni dopo appresi questa storia scoppiai in lacrime senza ritegno (e senza pentirmene).
Quando un ex bambino di periferia modenese ha avuto il privilegio di raccontare tutto questo, eh, cosa altro potrebbe pretendere dal mestiere di narratore di emozioni?
Quel bambino ero e sono io.