Miami, un’altra Sprint per Hamilton?
Breve riassunto dello stato dell’arte ferrarista.
C’è chi pensa che il Mondiale di F1 inizierà davvero soltanto a Barcellona, fra un mese, quando entreranno in vigore le nuove regole sulle ali anteriori.
La mia conclamata ignoranza in materia tecnica non mi permette di avere una opinione in merito. Apprezzo istintivamente i piromani di gioventù diventati pompieri nell’era Vasseur: onestamente li trovo vagamente patetici, il campionato è iniziato a marzo e la Ferrari doveva essere pronta a marzo. Il resto è fuffa, fermo restando che sono il primo a sapere che quelli che lavorano a Maranello sono dispiaciuti per l’andamento delle cose. E badate: qui non si tratta di reclamare teste, la ghigliottina non è mai stata una soluzione in Ferrari. Solo, almeno qui evitiamo di raccontarci che un podio (un podio, esticazzi) in cinque gare è un bilancio accettabile.
Anche no, dai.
Dopo di che, nella trumpiana finzione di Miami va in scena la seconda Sprint dell’anno.
Risparmiatemi le discussioni ontologiche sulla Sprint medesima. C’è, nella MotoGP addirittura decide la corsa al titolo, ergo facciamocene una ragione (vale anche per le regole 2026. Magari fanno schifo, io non lo so. Ma davvero qui dentro qualcuno crede che Audi ha voluto così e gli altri competitor hanno accettato obtorto collo? Cioè Ferrari, Honda, Mercedes avrebbero accettato per far vincere Binotto nel 2030? Ma ci siete o ci fate?!?).
Allora, la Sprint di Miami.
Rimane fin qui un mistero (non so se gaudioso) l’impresa di Hamilton a Shanghai.
Fosse ripetuta in Florida, da lui o da Leclerc, vorrebbe dire che in Ferrari hanno confezionato una monoposto buona per gare di 100 km, con poca benzina a bordo e niente obbligo di cambio gomme.
In tal caso, ci sarebbe da aprire un lunghissimo dibattito sui metodi di lavoro applicati nella Terra dei Motori.
Sempre aspettando la salvifica Barcellona (quando saremo a un terzo della stagione, ma sia chiaro che è sempre colpa di chi c’era prima, per carità).
