Un anno senza Sic
Un anno senza Super Sic.
La mia riflessione (già pubblicata su carta), per quello che vale.
Il ricordo può essere tante cose. Un battito d’ali da farfalla. Oppure un macigno. Nel caso di Sic, a un anno dal tragico addio, la memoria si nutre di entrambe le sensazioni. Che valgono, beninteso, per qualunque esistenza recisa troppo presto. C’è un verso del Libro che tutto spiega: chi salva una vita salva un mondo. Perderla, una vita, significa invece arrendersi dolorosamente a ciò che non vorremmo mai accettare.
Eppure. Eppure, lo scrivo sommessamente quasi trattenendo il respiro, c’è qualcosa di speciale, nell’immagine di Marco Simoncelli che fatalmente ritorna, nella suggestione di un anniversario triste. Certo, è fantastico lo sforzo che la sua famiglia sta portando avanti, ad esempio. Una Fondazione a beneficio dei bambini che meno hanno. Ed è meritoria, nonché sincera, la commozione degli addetti ai lavori, un tempo viceversa spesso addetti ai livori nei confronti di un ragazzo che rompeva gli schemi con l’ingenuità dell’innocenza: a Sepang, sul circuito della disgrazia, i colleghi di Sic si sono radunati presso la curva del disastro. Hanno scoperto una targa. Continueranno a dire (ed è la verità, beninteso) che a ognuno di loro Marco manca tanto.
Ma, confessavo un po’ di righe fa, c’è qualcosa di speciale, nell’intensità di un sentimento collettivo. Qualcosa che va oltre il rito delle celebrazioni, delle commemorazioni, delle iniziative benefiche.
UNO DI LORO. Ecco, non pretendo di aver compreso cosa sia, perché appartengo ad una categoria anagrafica distinta e distante. Però, entrando in un liceo per una conferenza o incontrando studenti che in teoria dovrebbero interrogarti sull’ingegneria applicata alla Formula Uno, insomma, stando in mezzo alle nuovissime generazioni, ti accorgi che il Sic era, per loro, un simbolo.
Non è una esagerazione. Non è che tutti i ventenni abbiano gli stessi gusti di Marco, a proposito di pettinature o di pubbliche esternazioni. No: il legame era (e rimane) più profondo. Simoncelli, nemmeno so fino a che punto se ne rendesse conto, incarnava i desideri, le emozioni, i sogni di chi era monello all’alba del Millennio nuovo. Dava testimonianza, con le acrobazie in moto e più in generale con l’approccio personalissimo alle cose della vita, che è possibile non rassegnarsi alla malinconia della precarietà, alla devastazione prodotta dalla incertezza, alla arroganza dei burocrati, politici e non, prepotenti e cialtroni.
Sì, c’è un motivo, se Super Sic, il Peter Pan delle due ruote, ci manca così tanto.