In memoria di Roland Ratzenberger
Diciannove anni fa, il 30 aprile 1994, moriva sulla pista di Imola il pilota Roland Ratzenberger.
Guidava una Simtek.
Io c'ero. Fu per me il primo impatto cronistico con l'irreparabile. Ero troppo giovane, nel 1982, per testimoniare dal vivo le tragedie di Gilles e di Riccardo Paletti. Dopo, per lunghi dodici anni, almeno sui circuiti da Gran Premio perchè in mezzo c'era stato il dramma di De Angelis, la Formula Uno non aveva conosciuto la Morte.
Senna, quel sabato, fu l'unico, insieme a Berger, a presentarsi sul luogo dell'incidente. Era sconvolto. Si disse poi che aveva avvertito un presagio. Io non mi intendo di premonizioni, però tutte le volte che rivedo la sua faccia che mi passa davanti, nel paddock di Imola, pochi minuti dopo l'ufficializzazione della notizia terribile, sento un brivido scorrere lungo la schiena.
Da allora, ho sempre pensato a Roland come al Milite Ignoto dell'automobilismo.
Povero ragazzo. Era uno sconosciuto e la crudeltà degli eventi gli negò persino il frastuono dei mass media, perchè ventiquattro ore dopo Ayrton Senna lo accompagnò in Paradiso e inevitabilmente tutti parlammo e scrivemmo di lui, di Ayrton. Dimenticando Ratzenberger.
Eppure, in quella sala gelida dell'obitorio di Bologna erano uno accanto all'altro.
Eppure, a dispetto di una enorme differenza in termini di successo e di popolarità, aveano la stessa passione. Amavano le stesse emozioni.
Il sabato 30 aprile io scrissi, per i miei giornali, una frase della quale mi sarei presto pentito.
Scrissi, al sabato sera, che stavo imparando la cruda verità di una lapidaria sentenza scolpita, anni e anni prima, da un mio vecchio collega.
O smettere di correre o smettere di piangere.
Il giorno dopo ci fu lo schianto di Senna al muro del Tamburello e mi portai dietro l'infinitesimale rimpianto di non avere alzato invece la voce, dopo la tragedia di Roland, per sostenere che bisognava fermare tutto, almeno per un po', almeno per un week end.
Un anno dopo, nel 1995, i genitori di Ratzenberger mi mandarono una lettera, per ringraziarmi della attenzione che avevo dedicato al loro ragazzo. Dicevano, nel messaggio, che il figlio aveva seguito i suoi desideri e per questo loro, il papà e la mamma, non avevano nulla contro l'automobilismo.