Profondo Rosso

Il primo goulash con Mansell non si scorda mai

Budapest, per noi.

Ci andai per la prima volta ventiquattro anni fa. Nel 1989.

Sembra ieri.

Credo vada dato atto a Bernie Ecclestone, fra tante storie grame che lo riguardano, di aver avuto, anche, intuizioni notevoli.

Ad esempio, ci volle un bel coraggio per portare la F1 in Ungheria già nel 1986. Con il Muro di Berlino ancora in piedi. In un paese sottoposto, nel 1986 appunto, a dittatura comunista.

Anche quando ci arrivai io per la prima volta, nell'agosto del 1989, il Muro era intatto. Sarebbe venuto giù pochi mesi dopo. Ma gli scricchiolii si avvertivano, proprio in Ungheria il partito unico al potere aveva aperto al pluralismo, in Polonia Walesa aveva appena vinto le elezioni, eccetera.

Ricordo che mi guardavo intorno, per capire l'aria che respiravo lungo il Danubio. Fu un cameriere in un ristorante ad illuminarmi: vede, mi disse, il comunismo è finito, anche se alcuni fanno ancora finta di non saperlo. E vedrà, aggiunse controllando il pass che portavo al collo, che tempo una decina d'anni e in Formula Uno ci saranno, in pista, tanti ragazzi dell'Est.

La prima indicazione era esatta, anche se Berlusconi non se ne è mai accorto. La seconda, mica tanto, a parte Kubica.

Ma poi.

Poi, di quel 1989, così breve e così impossibile da dimenticare per chi aveva l'età giusta, rammento il Gran Premio.

La stupefacente rimonta di Mansell. Una vittoria pazzesca, ottenuta partendo oltre la quinta fila.

E sì che tutti i maestri di professione, gente che aveva il doppio dei miei anni, gente che purtroppo non c'è più, si erano affannati a spiegarmi una cosa: all'Hungaroring non si sorpassa.

Quella domenica persi il conto dei sorpassi del Leone, compreso quello, sublime, ai danni di un allibito Senna.

Il primo goulash, con Mansell in Rosso, non si scorda mai.

Tornai tardi in hotel, quella notte.

Misero l'articolo in prima pagina. Cominciava come il titolo di una canzone appena incisa da Vasco Rossi.

Liberi liberi.

Liberi dall'idea che dovesse vincere sempre una McLaren, fosse quella di Ayrton o di Prost.

Liberi dalla paura che il mondo non potesse cambiare.

Quasi un quarto di secolo dopo, resta da capire se sia cambiato in meglio, il mondo.

Ma questo è un altro discorso.

Buona domenica.

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