Profondo Rosso

Ferrari, cosa ci insegna il caso Costa

Ho notato con piacere, nel consueto diluvio di commenti, che taluni tra voi hanno ripescato la storia del siluramento di Aldo Costa da parte della Ferrari.

L'emilianissimo Costa venne rimosso dall'incarico (di direttore tecnico) nella primavera del 2011, dopo aver viaggiato con me in aereo verso il Gp di Spagna (forse lo eliminarono per colpa della trasvolata...)

Poche settimane dopo, Aldo venne contattato dalla Mercedes e domenica lo avete visto sul podio del deserto, accanto a Rosberg ed Hamilton.

Andando controcorrente, sarei tentato di dire che la sua storia dimostra, con buona pace del mio amico Amico di Robben, che la pratica del taglio delle teste non implica, necessariamente, conseguenze positive.

Ma non mi piace vincere facile.

Del resto, la Mercedes sta dominando adesso. Aldo lavora lì da quasi tre anni. Durante i quali, onestamente, la Mercedes non era mica un missile.

Dove voglio arrivare?

All'epoca della fragorosa cacciata, fui l'unico (ma ci sono abituato) a sollevare, anche qui, più di una perplessità sul modo della scelta e sul significato della medesima.

Gli archivi parlano.

Al tempo stesso, vi raccontai la verità: dentro la Ferrari, Costa non era amatissimo da tanti suoi collaboratori/colleghi, ai quali forse non sembrò vero di caricare sulle spalle dell'ideale capro espiatorio le responsabilità degli insuccessi.

Qui, con buona pace di Amico di Robben e altri miei cordiali interlocutori, si annida l'errore.

Che va al di là delle persone.

Pensateci.

A fine 2009 vi dissero che la Ferrari aveva bisogno del pilota-collaudatore stile Schumi, per giustificare la liquidazione di Kimi.

Balla mostruosa, come confermano i cinque anni successivi. E Alonso, ripeto sempre, con la faccenda non c'entra, perchè chiunque abbia un minimo di lucidità ha ben capito come nella moderna F1 il pilota-suggeritore non esista più (vedi anche flop di Schumi in Mercedes). A meno di non credere (ma è roba da babbei) che ieri la Red Bull volava per le intuizioni di Vettel (ma dai!) e che oggi la Mercedes vola per le indicazioni di Hamilton (ma dai al cubo!).

Allo stesso modo, era da sempliciotti accettare, ormai tre anni fa, la tesi secondo la quale Costa era il vero buco nero della Ferrari.

Sono tutte baggianate da Bar Sport, buone per chi confonde la F1 con una squadra di calcio. La F1 è invece un affare estremamente complicato, non paragonabile ad altre discipline agonistiche.

A stringere, ciò che sta mancando alla Ferrari non sono i singoli nei singoli ruoli (e infatti abbiamo richiamato Kimi e la macchina è un cesso e magari tra due mesi qualche cialtrone dirà che è colpa di Raikkonen, incapace di indirizzare il lavoro degli ingegneri).

Alla Ferrari sta mancando (e non risolveremo la cosa vendendo l'azienda alla Audi, cazzo!) la cultura imprenditoriale capace di garantire una corretta interpretazione delle esigenze da Gran Premio. Tradotto: se hai due anni di tempo per confezionare la monoposto in stile power unit e toppi così di brutto, è dura sostenere che la colpa è di un individuo (Domenicali oggi, Costa nel 2011, Kimi nel 2009, eccetera).

O si capisce questo, oppure parliamo del Bayern Monaco, che per la mia gioia (e di Amico di Robben) è una grandissima squadra di pallone (roba molto molto molto più semplice di un team da Gran premio, fidatevi).

Statemi bene.

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