Profondo Rosso

Ma questi test a cosa servono?

Vabbè, sono certo che il nostro comune amico Gigione Mazzola non sarà d'accordo con quanto sto per scrivere, eppure lo scrivo lo stesso.

Alla fine dei test del Mugello (Grosjean primo, Vettel secondo, Alonso terzo, tutti molti vicini) sono stato sfiorato da una vaga perplessità. Ed essendo io il Dottor Divago per antonomasia, figuriamoci se mi lascio scappare l'occasione di esternare.

Mi spiego. Cioè: mi interrogo.

Ma queste prove, tre giorni appena buttati lì quasi a casaccio, servono veramente a qualcosa?

Ammetto che i dubbi sono affiorati nel mio rimbambito cervello quando ho appreso che la McLaren lasciava in vacanza il Bianco e il Nero.

E la Lotus non ha ritenuto opportuno rimuovere Kimi dalle profonde cantine di un distillatore di vodka.

E Vettel e Webber, che pure c'erano, hanno sostenuto che centinaia e centinaia di chilometri su asfalto non assicuravano comunque alcun vantaggio, per chi si sottoponeva all'esercizio.

Ora.

Lo dico con dolore, essendo nota la mia nostalgia per una Formula Uno nella quale la sperimentazione continua, reale e non virtuale, alimentava l'interesse per le corse, offrendo a chi era rimasto indietro la chance di un ipotetico recupero.

Ma evidentemente la rivoluzione (o involuzione, come preferite) culturale è definitiva. Siamo in presenza di una mutazione genetica che non potrà essere azzerata.

L'atteggiamento dei team, persino quello della stessa Ferrari, è ormai plateale.

Il vero sviluppo delle monoposto è affidato ai simulatori, ai computer, alle gallerie del vento.

Naturalmente quelli come me si ostinano a ritenere tale realtà una solenne bischerata, ma non ha senso lanciarsi contro i mulini a vento (appunto: ho amato Dulcinea insieme ad altri cento, eccetera eccetera).

Già si sa che nel 2013 le regole sui test non subiranno modifiche sostanziali, nonostante le amabili sceneggiate del nostro presidente Ciuffo.

La F1 di una volta non tornerà.

Posso aggiungere che mi dispiace?

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