Profondo Rosso

Cosa deve fare John Elkann per non essere un perdente

Secondo una nota teoria, nel mio mestiere si passa attraverso tre stadi. Brillante promessa. Venerato maestro. Solito stronzo.
Uno comprende di essere arrivato al terzo stadio quando, da giornalista, invece di farle inizia a concedere interviste.
Scherzi (?) a parte, sono grato al giovanissimo Francesco D’Alessandro per la conversazione che ha pubblicato sul sito news.yawclub.com/F1. Ha esagerato con gli elogi ma ho un debito con lui.
Sotto il testo.
Buona domenica.

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Non capita tutti i giorni di fare una chiacchierata con una personalità che ha contribuito a rendere grande il Motorsport in Italia. Noi di Yawclub non possiamo che dirci onorati di aver avuto Leo Turrini ai nostri microfoni per un confronto sulla situazione attuale della Formula 1, con un focus sull’egemonia Red Bull e sul declino Ferrari. Pare scontato dirlo, ma non mancheranno certo gli aneddoti che hanno contribuito ad alimentare il fuoco della passione che tutt’ora brucia dentro l’anima dell’uomo.
Prima ancora di addentrarci nel dialogo con Leo, e non può essere altrimenti, è opportuno inquadrarne la figura. Così come un buon artigiano intaglia il legno di una cornice per dar risalto al quadro, occorre fornire una descrizione che contorni al meglio l’immagine del protagonista di questo racconto, al fine di contestualizzare e godere a dovere del dialogo che seguirà.

Leo Turrini è nato nel 1960 a Sassuolo, immerso nella terra dei motori. Consegue la laurea in giurisprudenza e si lancia nel mondo del giornalismo da giovanissimo, scrivendo poi per giornali arcinoti come Il resto del Carlino; La Nazione ed Il Giorno. Oggi è ospite fisso a Race Anatomy, potendo vantare il ruolo di opinionista data la sua decennale esperienza sui circuiti di tutto il globo. Già, perché Leo di gran premi dal vivo non ne ha seguiti pochi. Come si legge nel suo libro “Senna. In viaggio con Ayrton“, Leo ha avuto la possibilità di seguire in pista quasi 400 weekend di gara. Numero poi inevitabilmente cresciuto negli anni recenti. Ma dire che la passione di Leo si fermi alle quattroruote è errato.
Il protagonista dell’intervista, infatti, è appassionato di calcio, ciclismo, e pallavolo, a denotare l’attaccamento all’agonismo nella sua forma più pura, e non solo in quella che odora di benzina e gomme bruciate. Oggi si diletta nel raccontare la classe regina nel suo Blog personale Profondo Rosso, in cui vive insieme agli appassionati il connubio tra la Formula 1 del passato e quella presente. Nella sua carriera professionale, ha avuto la fortuna di instaurare un rapporto di amicizia con chi ha fatto la storia del Motorsport, uno su tutti Ayrton Senna. In questa chiacchierata cercheremo di trasmettere al meglio la magia vissuta da chi ancora oggi mette cuore ed anima nel raccontare uno sport fuori dal comune.
Uno sguardo al passato di Leo Turrini
Partirei da una domanda per rompere un po’ il ghiaccio: da dove nasce il tuo amore per i motori?
“Questo è un discorso molto legato alle mie radici. Io sono nato a Sassuolo, che è a due chilometri in linea d’aria dal circuito di Fiorano e a sette da Maranello. In più, quando ero bambino, nel mio quartiere c’era un ragazzo di una decina d’anni in più di me. Lui lavorava come meccanico nel reparto corse della Ferrari. Era l’idolo del nostro quartiere. All’epoca in TV non si vedeva molto della Formula 1, dunque, noi aspettavamo che tornasse dalle trasferte il lunedì e andavamo a chiedergli come fosse andata. Lui mi trasmise da subito l’amore per i motori“.
“In più, se vieni da quella zona, l’atmosfera Ferrari diventa parte di te. La rossa non è solo un brand come si dice oggi, ma è un sentimento, un motivo di orgoglio, anche per chi non è appassionato di corse e pistoni. Questo è stato il merito di Enzo Ferrari, che con il lavoro e l’ingegno ha trasmesso a tutti quelli che aveva attorno questa sensazione“.
La prima volta non si scorda mai
Rimanendo sul tuo passato: la tua carriera giornalistica è strabiliante e ricca di aneddoti, ce n’è uno a cui sei più legato rispetto ad altri?
“Una cosa per me indimenticabile è stata la prima volta che misi piede a Fiorano. Fu speciale. Avevo sedici anni ed era l’estate del 1976, anno in cui Lauda ebbe l’incidente che tutti conosciamo. Si sparse la voce che Niki, quaranta giorni dopo l’incidente, era tornato a Fiorano per guidare perché voleva correre la domenica dopo a Monza. Non so come ne venni a conoscenza, ma successe“.
“Presi la mia bici ed andai al circuito. Vidi che all’ingresso c’erano tutti i giornalisti. Senza speranza mi misi in fila, e dopo poco Franco Gozzi, stretto collaboratore del Drake, iniziò a selezionare i giornalisti da far entrare. Quando toccò a me, mi chiese chi fossi, ed io gli dissi che scrivevo per un giornale locale. Si complimentò perché mi riconobbe, così mi fece entrare. Feci a piedi la strada che porta ai box fino a quando vidi arrivare Lauda. Era conciato davvero male, ma fu un momento indescrivibile“.

Sempre riguardo a quegli anni, c’è qualcosa che vorresti dire al te stesso del passato mentre si addentrava nel mondo delle cronache sportive?
“Come dico sempre, credo di essere stato fortunato. Ho sempre voluto fare il giornalista, mio padre era un muratore, mia mamma una casalinga, dunque non potevo avere aiuti o appoggi come spesso succede. Se potessi parlare con il me stesso di allora gli direi che è stato fortunato e che ha fatto una bellissima vita. Se nella tua esistenza riesci a fare quello che ti appassiona, diventa un sogno e il denaro passa in secondo piano, più bello di così…“.
Un salto alla Formula 1 del presente
Venendo un po’ ai giorni nostri, è chiaro come l’egemonia Red Bull non sembri destinata a terminare presto. Credi che lo sport la stia un po’ soffrendo?
“Da un punto di vista competitivo, qualunque sport, se viene meno l’equilibrio, subisce un danno d’immagine. Basti pensare al Bayern Monaco che vince da 11 stagioni di fila. La F1 probabilmente ha vissuto il suo momento più alto ad Abu Dhabi nel 2021, d’altronde, l’hanno visto un miliardo di persone. Ovvio è che vista la situazione attuale in cui vince una sola squadra, è difficile pensare che il 27 agosto la gente rinuncerà al mare per guardare il gran premio d’Olanda. Tutto ciò fa comunque parte delle regole: se qualcuno è più bravo è giusto che vinca“.

Credi ci sia qualcosa che si può fare per ravvivare la competizione senza per forza dover aspettare il cambio regolamentare?
“Credo innanzitutto che siamo arrivati ad un punto che non fosse stato previsto da tanti all’inizio dell’anno. Già dopo il primo gran premio Russell scommise che Red Bull le avrebbe vinte tutte. In inverno non ci si poteva immaginare l’assenza totale di competizione. Quel che si può fare è banale: i concorrenti devono lavorare meglio. Io sono contrario al cambio delle regole tecniche e sportive in corsa per creare un equilibrio artificiale. Non l’ho mai apprezzato. Loro sono più bravi ed è giusto che si godano i frutti del loro lavoro“.
Prima abbiamo accennato a Max e Lewis. Nel tuo libro “Senna. In viaggio con Ayrton“ scrivesti che nel DNA dei campionissimi risiede la capacità di capire prima di altri chi sarà il proprio successore. Non credi che quanto successo tra Max e Lewis sia un po’ il remake di quanto visto tra Schumi e Magic?
“Secondo me sì. Naturalmente non sono nel cervello di Lewis, ma ho notato che un grande campione è sempre il primo ad avvertire l’avvicinarsi di quello che lo metterà in difficoltà. Prost vide subito in Senna il suo successore. Ayrton si era reso conto che Schumi sarebbe stato per lui l’insidia più grossa. Credo che per Lewis sia stato lo stesso. Hamilton è un veterano, e aveva tutti gli strumenti per cogliere prima di altri il talento di Max. Di recente Lewis l’ha anche detto in un’intervista, dichiarando come Max abbia tutte le qualità per battere i suoi record“.
Le considerazioni in rosso di Leo Turrini
Venendo un po’ al tasto dolente per i tifosi, passerei alla Ferrari partendo dai piloti. Com’è possibile che la situazione fosse più stabile con una macchina competitiva, rispetto a quest’anno dove si dovrebbe trovare più coesione per risalire la china?
“Io penso che i due collaborino. Non è un problema di mancanza di cooperazione. Hanno tutto l’interesse a mettere insieme la loro esperienza e sensibilità di guida. Che poi ognuno voglia stare davanti al compagno è normale. È un paradosso, ma diventa importante quando non hai la macchina per lottare, visto che non ti rimane altro che far vedere che sei più bravo di chi guida la tua stessa macchina“.
“Sainz e Leclerc sono in concorrenza per una supremazia interna, a maggior ragione perché non possono pensare al mondiale, ma nemmeno a vincere qualche gara. Dal punto di vista di cooperazione con la squadra sono perfettamente leali, poi che fra loro ci sia un dualismo in pista è normale“.

Parlando del team principal. Il declino della rossa è evidente, e mi sembra chiaro che Vasseur stia lavorando sottotraccia e a lungo termine, abbiamo avuto di recente la notizia dell’acquisto di 25 nuovi ingegneri. Come giudichi l’operato di Frederic?
“Credo sia troppo presto. Qualunque top manager deve avere il tempo per fare le sue scelte. Non siamo neanche a settembre. Magari fra un anno potremo dargli un giudizio vedendo cambiamenti, acquisti, risultati. Quest’anno Vasseur è in una situazione quasi impossibile per chiunque: è arrivato con l’auto già pronta, la squadra già fatta da Binotto, e i piloti già sotto contratto. Avrei detto la stessa cosa se fosse arrivato e avesse vinto sette gran premi di fila. Bisogna riparlarne fra un anno. Lui mi pare molto convinto e motivato“.
A proposito dei piani alti
Riguardo i vertici del cavallino, credi ci sia qualcosa che possano fare ma non hanno ancora fatto per risollevare le sorti della squadra?
“Io sono molto critico nei confronti di John Elkann. Ognuno ha la sua storia, e lui non ha mai avuto passione per le corse, e non c’è niente di male. Da lui vorrei che, visto che ha deciso di essere primo azionista della Ferrari, dimostrasse di avere consapevolezza che le corse sono il DNA di questa azienda. Il suo dovere è quello di fare tutto ciò che è in suo potere per rendere la Ferrari protagonista. Non necessariamente vincente, ma perlomeno in lotta“.
“Aggiungo che John un merito ce l’ha: aver voluto il ritorno della rossa a Le Mans, vincendo. Spero comprenda che debba mettere la stessa attenzione anche sulla Formula 1. Sono cinque anni che è presidente, e non credo gli farebbe piacere essere ricordato come “perdente”, parlando di corse“.
Chiuderei con una domanda a sfondo tecnico. Abbiamo sentito parlare dell’arrivo di Loic Serra da Mercedes, tecnico esperto di gomme e sospensioni. Ritieni che possa essere un po’ la chiave di volta della Scuderia visto che essa è deficitaria in quegli specifici campi?
“Sono convinto che in questi mesi Vasseur abbia capito quali siano i limiti progettuali della Ferrari. Se è vero che hanno preso Serra, e dico “se” perché in questi casi bisogna sempre attendere l’annuncio ufficiale, penso sarebbe un buon acquisto. Naturalmente una persona da sola non basta, bisogna creare una struttura. Ricordo che il dream team di Montezemolo era un gruppo, basti pensare a Brawn, Byrne e tanti altri. Tante figure che lavoravano benissimo assieme. Non credo allo “one man show”. Anche se arrivasse Adrian Newey, da solo non potrebbe cambiare tutto pur essendo un genio“.
“È fondamentale prendere gente molto competente e competitiva, inserendola a dovere. Sottolineo che in Ferrari non c’è bisogno di mandare via. Si vedano i casi di Costa, Allison, Tortora, Sassi… tutta gente che poi è andata a far benissimo altrove. Bisogna invece integrare la struttura prendendo gente da fuori con le conoscenze che all’interno mancano. E credo proprio sia quello che sta facendo Vasseur“.

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