Cosa deve la F1 a Bernie Ecclestone
Leggendo le cronache sulla ultima disavventura processuale di Bernie Ecclestone (una vicenda fiscale, se ho capito bene), beh, mi è tornata in mente una leggenda metropolitana.
Falsa, come gli alligatori che spuntano dai cessi di New York.
Ma meravigliosamente suggestiva.
Quando Bernie era il capo supremo della F1, ruolo che ha occupato per decenni, c’erano colleghi britannici che fantasticavano sulle misteriose origini della sua fattura.
E inesorabilmente finivano lì: Ecclestone aveva fatto da palo, non in senso Fantozziano!, in occasione della affascinante rapina multimiliardaria al treno di Glasgow.
Roba di inizio anni Sessanta. Ladri mai individuati (o quasi). Libri e film sull’episodio.
Naturalmente, che Ecclestone fosse coinvolto era una balla. Ma il soggetto era così scaltro e furbo che la strampalata tesi veniva reputata credibile.
Del resto a Modena per anni e anni si mormorò, senza lo straccio di una prova, che un ancor giovane Enzo Ferrari fosse stato il destinatario di parte dell’oro di Dongo, il bottino dei fascisti in fuga con Mussolini nei giorni finali della guerra.
E come si sa Colin Chapman, geniale patron della Lotus, non è mai morto (ci fosse stato il web all’epoca, sarebbe stata una pacchia per un sacco di gente).
In generale e al netto delle dispute processuali, a Bernie Ecclestone la Formula Uno deve il grande balzo nella modernità.
È stato lui a rendere popolare ovunque l’automobilismo. Lo ha fatto con spregiudicatezza, con il cinismo del mercante che credeva soprattutto nel Dio denaro. Ma è stato un visionario: insieme alla sua fortuna personale, ha fatto la fortuna di tanti.
Credo abbia sbagliato a non uscire di scena prima: non comprendeva la rivoluzione digitale, era diventato obsoleto a sua insaputa (a noi vegliardi capita€.
Eppure, se la F1 è quello che è, sia pure con tutti i difetti, beh, è merito suo.