Profondo Rosso

Dieci anni senza Schumi

Dieci anni senza Schumi.
Ricordo benissimo lo sgomento che mi aggredi’ a fine dicembre 2013, quando arrivò la notizia del terribile incidente sulle nevi.
Il primo pensiero fu quello banalmente comune a tantissima gente. Lo espresse da subito la mia mamma: una carriera spesa al servizio del rischio e poi…
E poi.
Compresi in fretta che le prospettive, per l’uomo Michael, erano crudelmente ridotte, se non addirittura azzerate.
Tutto il resto è il silenzio. Il muto disagio di chi assiste da lontano ad una tragedia indefinita, quasi infinita.
Talvolta ho parlato con chi, in questi angoscianti tremila e passa giorni, ha visto.
Mi sono sempre fermato sulla soglia dell’indicibile. E fermamente mi sono imposto e mi impongo il rispetto, assoluto e incondizionato, per la scelta del riserbo fatta da Corinna e dai figli.
In questa epoca di idiozia social, questa è una lezione.
Per tutti.
Ho raccontato la carriera di Schumacher da Spa 91 a Interlagos 2012. Ci sono sempre stato. Mi sono emozionato da ferrarista per le sue imprese. Non ho taciuto i suoi eccessi e i suoi errori. Al volante era un Campionissimo, ma non era un santo.
Poiché il personaggio legittimamente non concedeva confidenze a chi non apparteneva alla sua cerchia ristretta (ingegneri, meccanici, naturalmente la famiglia), non ho mai narrato Michael in termini, come dire, personali. Non me lo permetto.
C’è però un episodio che porto nel cuore e che mi apri’ uno squarcio sul mistero di un’anima.
Primavera 2004.
Storicamente la stagione più bella per la Ferrari in F1.
Il comune di Fiorano mi invitò a condurre una cerimonia pubblica: a Todt, a Barrichello e a Schumi veniva conferita la cittadinanza onoraria.
C’era un delirio di gente. Bambini, nonne, operai.
Tutti.
Prima di andare in scena, il Pinguino di Francia, con la rituale ferocia, mi prese da parte.
“Turrini, lei sa che Schumi non ama parlare in italiano in pubblico, dunque non rompa i coglioni e lo intervisti in inglese, grazie e non mi faccia incazzare come è suo costume”.
Simpaticissimo, as usual.
Dunque, ci troviamo sul palco e obbedendo al sosia di Alvaro Vitali mi rivolgo a Michael nella lingua di Churchill.
Prima domanda banalissima: dopo tanti anni spesi qui, cosa ti piace di questa terra, al netto della Ferrari?
E non lo so che cosa è accaduto.
Non l’ho mai capito, sul serio.
Davanti a tutta quella gente, Michael Schumacher rispose in italiano. Parlò di cucina, di pallone, di automobili da strada.
Nella lingua di Dante.
Venne giù il teatro.
È la memoria più bella che ho di lui.

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