Schumi, perchè non ne valeva la pena
Bene. Anzi. Male.
Ora proverò a riordinare i pensieri sparsi, in presenza di un annuncio (il secondo e si presume definitivo addio di Schumi) forse scontato e però comunque doloroso.
Almeno per chi, come me, ha ammirato tantissimo il Campionissimo, raccontandone le gesta per quasi un quarto di secolo (!).
Qualcuno, tra i frequentatori di questo ameno luogo, forse rammenterà cosa ebbi a sostenere sul finire del 2009, quando diventò certezza il rientro del Vecchio Zio con la Mercedes.
Non mi piacciono le autocitazioni, dunque semplifico al massimo.
Pensavo che si trattasse di un errore. Nel senso che Schumi avrebbe avuto tutto da perdere e nulla da guadagnare. Al massimo nella migliore delle ipotesi, avrebbe AGGIUNTO qualcosa ad una carriera, la prima, che era fantastica, insuperabile, irripetibile.
E' andata persino peggio di quanto i detrattori dello Zio potessero augurarsi. Tre anni, zero vittorie, una pole, un podio. Un bilancio alla Barrichello, toh.
Naturalmente, è mia convinzione che tanta parte di questo fiasco, perchè di fiasco stiamo parlando, è inutile girarci attorno in nome della nostalgia, tanta parte del fiasco, dicevo, spetta in esclusiva alla Mercedes.
Ma proprio questo era il cuore del ragionamento che sviluppai a dicembre del 2009, in ogni sede.
La Formula Uno è una disciplina nella quale il talento individuale, da solo, non incide e non determina. Michelone lo sapeva perfettamente: con la Ferrari del 2005, per dire, beccava spesso un giro. Ed era il pilota più grande in circolazione...
Ora, uno può tornare a fare il pugile o il centometrista o il nuotatore: sono attività agonistiche nelle quali, al netto ovviamente del doping, i risultati sono figli in esclusiva della tua forza, della tua velocità, della tua resistenza.
Nella Formula Uno non è così. Almeno da quarant'anni (ma forse anche prima, non so) non è così.
A me dispiace (e tanto) perchè per tre stagioni l'Epta, venerabile e venerato, ha collezionato, non per sua colpa, figuracce indecorose. Sì, lo so: lui in pista ci andava e lottava e combatteva e io ho sempre fatto il tifo per lui e ci siamo esaltati, a dispetto delle disfatte, ammirandone l'orgoglio, la tenacia, la dignità estrema, ancora il talento (vedi il giro pole di Montecarlo quest'anno, per dire).
Ma è stato tutto molto triste, se vogliamo essere sinceri. Triste e inutile. Triste e controproducente. Chi nel 2006 era alle elementari, sei anni dopo è portato a pensare che il signor Michael Schumacher sia stato un mediocre mestierante del volante, un tizio invecchiato male, uno che vinceva, in gioventù, solo perchè aveva l'auto migliore.
Ovviamente non è così, noi sappiamo che non è così, noi sappiamo quanto grande sia stato Schumi e quanto di suo abbia messo in tanti trionfi della Benetton e della Ferrari.
Ma spesso, si dice, l'ultima impressione è come la prima risposta nei quiz: conta quella.
Non è giusto. Io mi ribello, però debbo dolorosamente atto di avere avuto ragione, a fine 2009, dopo aver speso tre anni malinconici sognando di avere torto.
No, non valeva la pena, caro Zio.
Per niente.