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Tre poeti al centenario. Luzi, Bigongiari e Parronchi

Piero Bigongiari, Mario Luzi e Alessandro ParronchiVEDI I VIDEO “Nell’imminenza dei quarant’anni” letta da Mario Luzi , “Amore” letta da Piero Bigongiari (da 4:34) , Ricordo di Alessandro ParronchiIl trailer del documentario “In Toscana. Viaggio in versi con Mario Luzi” (2014)

Firenze, 28 settembre 2014 – Articolo pubblicato su “La Nazione” di oggi.

Tre poeti, un centenario nel nome dell’ermetismo

Letterariamente, com’è noto, il 2014 in corso è un anno ricco di anniversari e ricorrenze. A trionfare è soprattutto la poesia, e la poesia svoltasi nel Novecento a Firenze all’insegna di quella etichettazione storiografica un po’ intimidente, in realtà controversa tra gli stessi addetti ai lavori e a tutt’oggi non ancora completamente chiarita, di “ermetismo”.

A questo centrale episodio novecentesco, a Firenze appunto, sarà dedicato a fine ottobre, per iniziativa dell’infaticabile italianista Anna Dolfi e con il concorso di più di sessanta studiosi, un grande convegno che si protrarrà per vari giorni, tra Università e Gabinetto Vieusseux. Nell’ambito della manifestazione si ricorderanno e si indagheranno fianco a fianco, secondo la scadenza centenaria della nascita che li accomuna, Mario Luzi, Piero Bigongiari e Alessandro Parronchi; ma accanto a loro saranno all’attenzione autori di primo piano implicati in quelle storiche vicende, da Sereni a Bodini, da Bo a Macrì.

Ai tre poeti, che furono peraltro anche tra loro amici, dedica intanto con avveduta puntualità un suo fascicolo “Il Portolano”, la rivista di Francesco Gurrieri edita da Polistampa. Ecco così sfilare una serie di originali e illuminanti interventi, a partire dagli scritti d’apertura di carattere generale di Giuseppe Langella e Silvio Ramat. Seguono articoli monografici incentrati sui singoli poeti, e tra essi lo scritto di Marco Menicacci dedicato ai rapporti tra Luzi e Teilhard de Chardin, quello di Enrico Ghidetti sull’ultima produzione di Parronchi e quelli su Bigongiari di Maria Fancelli, Fabrizio Paolo Iacuzzi e Stefano Lanuzza. Immancabile per Parronchi, insigne critico d’arte oltre che valido poeta, un contributo specifico, a firma di Marco Fagioli.

Marco Marchi

Nell’imminenza dei quarant’anni

Il pensiero m’insegue in questo borgo
cupo ove corre un vento d’altipiano
e il tuffo del rondone taglia il filo
sottile in lontananza dei monti.

Sono tra poco quarant’anni d’ansia,
d’uggia, d’ilarità improvvise, rapide
com’è rapida a marzo la ventata
che sparge luce e pioggia, son gli indugi,
lo strappo a mani tese dai miei cari,
dai miei luoghi, abitudini di anni
rotte a un tratto che devo ora comprendere.
L’albero di dolore scuote i rami…

Si sollevano gli anni alle mie spalle
a sciami. Non fu vano, è questa l’opera
che si compie ciascuno e tutti insieme
i vivi i morti, penetrare il mondo
opaco lungo vie chiare e cunicoli
fitti d’incontri effimeri e di perdite
o d’amore in amore o in uno solo
di padre in figlio fino a che sia limpido.

E detto questo posso incamminarmi
spedito tra l’eterna compresenza
del tutto nella vita nella morte,
sparire nella polvere o nel fuoco
se il fuoco oltre la fiamma dura ancora

Mario Luzi

(da Onore del vero, 1957)

Amore

C’è poco spazio per l’amore, tra una
chiamata telefonica, un viaggio,
un grido, a malapena un esser qui
tra un sorriso, un morire del sorriso,
ma questo è amore, questo poco spazio
che viene meno: screzio del possibile,
strazio dell’impossibile che può.

Se è intatta la coppa, l’incrinata
coppa ma che non versa, è che l’amore
che l’incrina la tiene, che la sbriciola
la rifonde in un tutto. Nulla passa:
la ferita non versa, par guarita.
Ma non l’amore, esso non è guaribile.

Non guarisce l’amore, l’inguaribile
scende stilla a stilla dagli occhi, e uno dice: vedo;
stilla a stilla dal cuore, e uno dice: sento,
sento un vuoto, un dolore, sento venir meno
la notte o l’alba che dovrebbero seguirsi
a breve distanza, caute, tacendo.

È notte o l’alba, non so: il fiume qui è grosso
ma pur fine, fatto di stille di temporali miti.
Gridano di andarsene dal cuore le poche cose che lo posseggono
ma come una stiva che una tempesta mette a soqquadro,
quanto spazio là, quanto spazio tra le cose mercanteggiate, in qualche pericolo
qualcuno grida lassù in alto con un urlo lacerante qualcosa.

Ha veduto, o non ha veduto, il pack aprirsi
a un’ improvvisa primavera che ha percorso le acque fredde
in canali profondi; ha veduto, o non ha veduto,
anche il carico aprirsi, sbandare, ritrovare quel disordine
antico che all’improvviso provoca non udito,

ultrasuono infrasuono, non una voce per chi è sordo a ogni ordine estremo
o forse all’opposto di ogni ordine. Se tutto, dentro e fuori,
ugualmente e tutto insieme si apre, attento
attento a non cadere in questa grafia fine che l’amore crea tra le cose
come se volesse descriverle, lui l’indescrivibile,
attento a non scinderti in un significato che non può significare l’insignificabile
perché l’amore può stritolarti là in mezzo dove ti lascia dolcemente cadere
se tu non ne sei la tenaglia ma il mallo amaro.

Piero Bigongiari 

(da Antimateria, 1972)

Un anno

Mi vellica il vento dell’estate
scorsa con un motivo di canzone
e mi avvicino al davanzale il volto
di te che te ne vai, sicuro
di veder riapparire.
Per quante estati ancora? Forse l’ultima
è questa. O forse qualche altro anno il fato
di vita ci serba…
                                 Ma allora non decada
questa già tanto, per stanchezza o ignavia,
debole umanità.
Quello che abbiamo in noi
tutto e presto s’esprima.
Dopo vivremo giorno giorno
non più per noi, per gli altri.
Ma anche l’arte non è inutile, quando
non è chiudere gli occhi. Poesia
non è voltarsi indietro ma discernere
tra quel che all’uomo è di necessità
primaria, imprescindibile,
tra la fame la sete il sesso il sangue
e le cose di cui non può far senza,

la nostra cecità mascherata di scienza,
un rimpianto, un ricordo,
un sospetto di sopravvivenza,
un futuro già presente…

Alessandro Parronchi 

(da Replay, 1980)

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